Copy to Clipboard. Add italics as necessaryCitation: Marco Antonio Bazzocchi, «La vita sovrana, la parresìa. Tracce di un confronto tra il Pasolini estremo e Michel Foucault», dans Pasolini. Dialogues avec la France / Dialoghi con la Francia, éd. Marco Antonio Bazzocchi, et al., Cultural Inquiry, 36 (Berlin: ICI Berlin Press, 2025), p. 223–36 <https://doi.org/10.37050/ci-36_12>

La vita sovrana, la parresìaTracce di un confronto tra il Pasolini estremo e Michel FoucaultMarco Antonio BazzocchiORCID

Abstract

Nell’ultimo Pasolini molte posizioni nascono dalla presa di parola diretta del poeta che dichiara la sua inadattabilità al mondo contemporaneo attraverso la rappresentazione di un sé che rifiuta di adattarsi alle regole del linguaggio poetico, anzi spesso lo rende oggetto di derisione. L’insieme di questi atteggiamenti di Pasolini possono essere ricondotti alla volontà di dire il vero che Foucault in anni vicini sta elaborando con il termine “parresia”. Il saggio ricostruisce alcuni passaggi di questo percorso, intrecciando l’analisi di testi poetici e di dichiarazioni che nel loro insieme possono mostrare come anche per Pasolini la retorica del “dire il vero” sia fondamentale per capire ciò che avviene nella sua opera negli ultimi anni prima della morte.

Mots-Clés: Foucault; parresia

In una delle sue poesie testamentarie raccolte in La nuova gioventù, «Lengas dai frus di sera», Pasolini mette in rapporto due voci che concorrono a creare l’effetto di quello che lui stesso definisce più volte «compimento figurale», cioè la risoluzione possibile di quanto in un testo è lasciato irrisolto e deve essere riempito dall’attenzione del lettore che crea collegamenti tra il testo e l’autore. In questo caso l’integrazione avviene tra due voci che si completano a vicenda, pur appartenendo a due mondi che non possono comunicare. La prima è la voce di Edipo dal dramma Edipo a Colono, le cui battute sono riportate direttamente in greco, la seconda la voce di un uomo che si definisce ormai vecchio e che abita in una torre. Quest’uomo parla in dialetto friulano. Entrambi gli uomini si trovano in una condizione di privazione e di perdita del proprio statuto: il vecchio re sta cercando il luogo adatto per poter morire, il vecchio friulano, pur possedendo una torre e un bosco, sa che gli rimane poco tempo da vivere. Nel testo non c’è cenno delle voci dei fanciulli, che invece danno il titolo al componimento. Il rapporto tra vecchiaia e gioventù rimanda però a un sotterraneo riferimento a un intervento apparentemente estraneo, la recensione di Pasolini alle Città invisibili di Calvino, dove Pasolini sembra voler recuperare un rapporto di vicinanza con Calvino dopo molti Beginning of page[p. 224] anni e condividerne l’esperienza a partire da quanto si trova implicito nella nuova opera.1 Il libro di Calvino viene letto come il risultato di un atteggiamento malinconico e rassegnato, quello di chi ha ormai visto passare tutta la propria vita e se ne sta come un vecchio a osservare, seduto su un muretto, i giovani che invece ancora stanno dandosi da fare. Anche in questo caso la condizione del vecchio corrisponde a una perdita di sapere, e a una forma di ironia che consente di sentirsi in pace proprio dalla posizione di lontananza dalla vitalità giovanile.

Pasolini riproduce nella sua poesia lo stesso sentimento: l’uomo vecchio, il padrone della torre, è consapevole che il suo sapere non serve più, che anzi sarebbe venuto il momento di sbarazzarsene: «Ah, avere ormai più poco tempo da vivere, non essere più padrone… | Questo è un piacere sconosciuto ai giovani, che fa il vecchio leggero».2

Credo che questa idea stia alla base dell’atteggiamento dell’io che compare, in forme molteplici e con posture discorsive diverse, nell’ultima parte dell’opera di Pasolini, in versi o in prosa.

Questo “io” è il prodotto di una lunga elaborazione che può essere fatta risalire all’inizio degli anni Sessanta, quando Pasolini rinnega l’esperienza del decennio precedente elaborando un concetto che deriva dalla storia dell’arte, quello di “manierismo”. Nel libro di Ludwig Binswanger sul manierismo come forma di esistenza mancata, viene citato Paul Tillich a proposito del lento processo di consunzione dei contenuti spirituali di un’epoca e dell’angoscia che ne deriva come mutamento irreversibile nella storia di un individuo. Questo sentimento Pasolini inizia a tradurlo poeticamente affiancandolo alla idea di «Nuova Preistoria», che non a caso compare nella raccolta più manieristica, quella che nasce sotto il segno della pittura di Pontormo, a ridosso della Ricotta e dell’assunzione di Pontormo come padre da mettere vicino a Gramsci e Contini. Poche pagine prima, Binswanger sottolinea la rappresentazione dello spazio nella pittura manierista come caratterizzate da contrazioni dentro le quali il soggetto viene Beginning of page[p. 225] trascinato via, in modo tale che la figura umana si sottopone a una pressione esterna per la quale non sembra espandersi dentro l’infinito ma piuttosto viene compressa da esso.3

Possiamo ipotizzare un fenomeno simile nel rapporto tra il soggetto poetico e lo spazio dentro il quale avviene la sua libertà di manovra (che dunque non è mai veramente libera ma deve rispettare un confine). Se ipotizziamo che un codice stilistico sia, sulla base di selezione, uno spazio dove il soggetto può muoversi pur rispettando i confini auto-imposti dalle scelte stesse, allora dobbiamo considerare che da Poesia in forma di rosa in poi Pasolini abbia messo in scena la progressiva e inarrestabile espulsione di sé dallo spazio della lingua poetica. La lingua poetica delimita ormai un perimetro dentro il quale non si può più abitare. Dunque il soggetto deve contemporaneamente stare “dentro” questo perimetro e mostrare l’impossibilità della sua condizione: lo spazio virtuale del testo lo costringe a continue “torsioni” posturali, sia fisiche che psicologiche. Proprio per questo il sentimento di soffocare e di perdere la voce è in rapporto sia con lo spazio esterno che con lo spazio poetico che ha perso energie vitali e funzione protettiva. Pasolini mette in atto continue strategie di discorso pubblico con le quali si rappresenta in quanto ormai incapace di trovare le condizioni adatte per potersi esprimere. Nella poesia citata, la torre di Chia è un luogo di isolamento dell’io ma nello stesso tempo un luogo dove verificare la disappropriazione del proprio sé. Ultimo atto di questo percorso sono le fotografie di Dino Pedriali nelle quali l’autore si mostra ormai libero di ogni legame con il mondo, letteralmente nudo, cioè privo di ogni sapere.4

La raccolta successiva, Trasumanar e organizzar, adotta la forma smagliata del libro di appunti tipica dell’ultimo Pasolini. Gli “appunti”, in quanto scritture provvisorie, nate per essere corrette o cancellate, fanno emergere l’azione di colui che scrive senza che sia necessario fissare la scrittura in una forma definitiva: sono quasi-testi che attendono un impossibile compimento figurale. Come ha detto Beginning of page[p. 226] Raffaele Dommarumma: «Il libro insomma non è tanto un’opera quanto un’operazione»5.

Di conseguenza, dal momento che si trova proiettato in uno spazio dentro il quale non esistono più punti di orientamento stabili, e sente di aver perso il legame con la lingua poetica (che è il legame con la madre, e quindi con il “fiore” della rosa) Pasolini cerca di immettere forti dosi di performatività all’interno dei componimenti. In un certo senso, Pasolini non può ignorare la vittoria della Lingua del Padre, quello che Stefano Agosti chiama il sapere costitutivo del Discorso (cioè la lingua che simula la verità), ma cerca di salvare fin dove è possibile la Lingua della Madre (cioè la lingua del possesso della verità), che però può esprimersi sempre solo in modo frammentario, non completo, come balbettio che si insinua sotto il Discorso paterno. Scrive Agosti: «la verità parla al di fuori dei codici, nella lingua del canto o dell’afasia», che sono lingue dell’origine o della condizione postuma6.

Pasolini usa un’immagine di sé che rovescia comicamente l’immagine di sé che sa essere diffusa. Si tratta della figura del «re di derisione» di cui parla Foucault nel corso del 1984 al Collège de France, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri. Il tema analizzato da Foucault è quello della vita cinica come «vita altra», cioè la vita condotta senza vergogna, indifferente a tutto ma capace di «abbaiare» (i cinici assumono l’identità del cane) contro i nemici, dal momento che sa distinguere i buoni dai cattivi: «è una vita priva di dissimulazione, che non cela nulla».7

Possiamo leggerla come continuazione dell’espressione «maciste magretto» che troviamo in apertura del poema «Poesia in forma di rosa», dove vengono esaminate le fasi di progressivi errori di cui il soggetto fa pubblica ammenda, considerandoli nel loro complesso l’errore dell’intera vita. In Trasumanar si registra la fase successiva, che qui diventa «la nascita di un nuovo tipo di buffone». Questa presenza del “buffone”, del personaggio inferiore, del reietto, Beginning of page[p. 227] dell’impresentabile, va connessa alle nuove esigenze formali che Pasolini esibisce, a ritmo forsennato, nella raccolta: i comunicati, i rifacimenti, le poesie su commissione, ecc.

Pasolini può così rendere pubblica la sua impossibilità di Canto, ed esporsi con la maschera di chi si sottopone all’attacco fisico dei propri nemici. La raccolta è costellata di “doppi” dell’autore che sono figure della sua condizione di reietto e sacrificato. Riprende, per esempio, la figura del Gracco che viene umiliato dai propri concittadini. Il Gioco nuovo si instaura con il codice della poesia, cioè con il codice dove il Discorso ha ormai soffocato il Canto: «Ah fratelli non mi ammirerete più | attraverso la mia ammirazione. | Gioco al gioco contrario, | e se qualche verso mi riesce passabilmente | è per semplice abitudine». Il che si prolunga poi nella esibizione di un sé come oggetto di ingiuria, di umiliazione pubblica e di attacco fisico da parte degli altri (immagine ripresa nella nota alla Divina Mimesis):

Abbasso la vostra serietà.
Date, date calci al Gracco boccheggiante,
mettendo in dubbio la costituzione stessa della sua moralità
come di persona infida, perché a voi non consustanziale (della stessa pasta);
quasi appartenente ad altro gruppo o razza.8

Per identificare alcuni aspetti della raccolta poetica che si forma tra il 1968 e il 1970, cerco di sottolineare alcune idee che possono avere una tangenza proprio con gli studi dell’ultimo Foucault, in particolare quelli dedicati a «gouvernement de soi et des autres» e «courage de la vérité» (1984): 1. Figurazioni della soggettività che non hanno al centro il potere (inteso anche come dominio consapevole della lingua poetica) ma al contrario l’abbandono del potere; 2. Il nuovo rapporto tra soggettività e pratiche legate alla sessualità; 3. Declinazioni di un tema che potremmo indicare come “parresiastico”, intendendo l’esibizione di un soggetto che aspira a mostrarsi nel vero, con varie strategie di spiazzamento del proprio nemico.

I due verbi del titolo rimandano a un’opposizione che ancora una volta implica la natura doppia della parola poetica, che si riflette nei toni diversi dell’enunciazione da parte del soggetto poetico. Il Beginning of page[p. 228] trasumanar avviene non solo in un movimento verso l’alto (dantescamente) ma nel rovesciamento simmetrico verso il basso, dove si agisce attraverso l’organizzar. Ma l’organizzar si riferisce anche tecnicamente alla forma del discorso, che fa da supporto agli elementi metadiscorsivi. I linguaggi possono arrivare all’afasia, alle variazioni di falsetto, oppure innalzarsi improvvisamente verso il canto che si incarna nella donna della Città Santa, cioè la Callas a Parigi, che sappiamo essere in lotta con la Madre e sottoposta al potere del Padre (e per metonimia del nuovo padrone, cioè Onassis), che però in lei può diventare di nuovo energia poetica. Dunque Pasolini crea quasi in ogni testo uno spazio di isolamento nei confronti del mondo, uno spazio di espressività improbabile, e nello stesso tempo varca, senza requie, questo muro di isolamento per trovare interlocutori non conformi, individuati in luoghi di esautorazione: non a caso Ninetto e Maria vengono abilmente separati da tutti gli altri esseri (in prevalenza maschili) che potrebbero essere oggetti di attenzione erotica. In alcuni testi, questa ricerca di un nuovo “tono” con cui affrontate l’esistenza ha a che fare con la ricerca del trasumanar. Questo tono viene spesso indicato con il termine «leggerezza», come in questo testo, appunto «Propositi di leggerezza» (la poesia ambientata in Eritrea, dove vengono proiettati, anche nel Fiore della mille e una notte, desideri erotici, qui anticipati dall’espressione «la grazia degli Eritrei», che dà titolo a una magnifica prosa): «Da tempo sento più forte il rimpianto del ventre materno, | dove stare tutto solo, all’interno, senza meticci di nome Lorenzo | né altri impegni sociali: senza il fango | della stagione delle piogge».9Qui Pasolini oscilla tra due opposti, creando una condizione di non decidibilità: la leggerezza sarebbe un valore da ritrovare, ma è proprio la leggerezza «di ragazzo» che ha portato il poeta a diventare «pesante», a scegliere cioè la sincerità, lo zelo, dal momento che «il buono, il puro, il ragazzo è bugiardo», e quindi la leggerezza «è mistificazione». Deve così tornare il tono del “Falsetto”, che significa appunto “falsità” della voce. Dunque è impossibile evocare il passaggio da un sistema comportamentale all’altro, perché ambedue sono in rapporto di opposizione e di legame: l’ossimoro significa totalità del mondo, non può esserci scelta. Beginning of page[p. 229]

La voce dell’io lirico, o meglio dell’io che sta lasciando la lirica, può solo aprirsi ad altre voci, diventare mimetica inglobando il mondo, senza più selezionare ma agglomerando:

la continuità è dovuta al persistere dell’oxymoron, cioè al definire le cose per opposizione. Ciò è importante, perché deducendo, sia pur schematicamente, la vita dallo stile, si può affermare che Pasolini vive storicamente per accumulazione, e che il suo conoscere, non dialettico, è dovuto all’eterna coesistenza degli opposti.10

Pasolini non sa dove porta il suo discorso: il suo non sapere diventa cancellazione del suo io precedente (cioè del suo sapere). Questo io c’è ma anche non c’è, sopravvive come Canto che sta soffocando sotto la forza inarrestabile del Discorso, e per questo diventa “falsetto” o “abitudine” oggetto di svilimento ironico. Il nuovo linguaggio deve dunque adeguarsi a essere un non-linguaggio, oppure mimare un impossibile adeguamento a un linguaggio non umano.

Mirmicolalìa dichiara fallimentare il tentativo di elaborare un linguaggio che consenta una comunicazione con i carcerati di Rebibbia, e si giustifica come incentivo alla protesta per l’incarceramento di Aldo Braibanti, poeta e mirmicologo, cioè studioso delle formiche. Pasolini esibisce non solo un processo di identificazione con Braibanti, ma scende a un livello inferiore, scegliendo di trasfigurarsi nella formica ormai morta e chiusa in una teca di vetro, osservato dagli occhi di Dario Bellezza e di Elsa Morante. Il corpo-formica, ormai ridotto a minuscola salma, ha perso la capacità di entrare in rapporto con gli altri carcerati di Rebibbia. Il linguaggio con cui comunicare dovrebbe essere un «mirmicoeffare», cioè un linguaggio modellato su quello delle formiche: «Ho pensato per prima cosa di … mirmicoeffare coi coatti: | ma la difficoltà linguistica è stata insormontabile: | discorso diretto senza discorso libero indiretto | per una bestiolina nuda tra i Mirmidoni al fresco».11 I carcerati vengono nominati dalla metafora dei Mirmidoni, il cui nome secondo la leggenda risale al popolo delle formiche (mirmix). Pasolini rinnega la tecnica che ha usato in passato per dare voce ai personaggi di una classe sociale subalterna, cioè il Beginning of page[p. 230] discorso libero indiretto, e che adesso dovrebbe essere sostituito dal discorso diretto, il che si dichiara impossibile.

Dunque non sono più efficaci le antiche abitudini retoriche e stilistiche, eppure la poesia inizia a diventare un discorso su ciò che è necessario compiere, sulla necessità di trovare soluzioni, sull’emergenza del presente. Come spiega Foucault, l’uso performativo del linguaggio si svolge secondo modalità che sono parallele a quelle di chi vuole «parlar franco», cioè praticare la virtù della parresìa. Ma l’atto parresiastico supera l’atto performativo proprio perché mette in gioco qualcosa di più. Ascrivendo il proprio discorso alla parresìa, il pensatore antico non solo enuncia una verità, pratica un discorso sulla verità, ma mette se stesso in una posizione particolare nel rapporto con questa verità. L’enunciato performativo è tale perché viene seguito da un effetto, chi lo pronuncia vuole ottenere subito un effetto pratico, visibile. «Nella parrēsia, al contrario […] — spiega Foucault — ciò che la produce è il fatto che l’introduzione, l’irruzione del discorso vero determina una situazione aperta, o piuttosto apre la situazione e rende possibile un certo numero di effetti che non sono propriamente conosciuti».12 Il dire-il-vero, cioè, implica che colui che lo dice si leghi in modo esplicito all’enunciato e al suo contenuto. Colui che dice il vero si assume completamente il rischio di ciò che dice e delle conseguenze che ne derivano. La parresìa ha una ricaduta principale sulla condizione del locutore, di colui che parla, che si espone ai rischi di quel che dice, è anzi disposto a pagare un prezzo altissimo (fino alla morte) per ciò che dice. Colui che pratica la parresia (sia in senso politico che filosofico) si mette in una condizione particolare, in un certo senso si isola dalla propria comunità e crea intorno a sé uno spazio di eccezione. Colui che dice il vero costituisce se stesso «come colui che dice il vero, che ha detto il vero, che si riconosce come colui che ha detto il vero».13

Si tratta dunque di un’operazione condotta innanzitutto su di sé, un’operazione che riguarda la soggettività e il modo con cui il soggetto si espone di fronte alla propria comunità di appartenenza. Stando alla concezione di Pasolini, un atto parresiastico può passare attraverso l’esibizione del proprio corpo, attraverso una modalità con cui il corpo Beginning of page[p. 231] trasmette un messaggio. E questo messaggio prende spesso, nella poesia estrema, la forma di una allocuzione pubblica attraverso la quale il poeta dice ai suoi ascoltatori: io esisto, sono così, guardatemi, osservatemi, rendetevi conto che sono diverso da voi. Spesso la forma poetica è lo strumento migliore con cui Pasolini unisce atti di esposizione di sé e del proprio pensiero, attraverso la confessione, il ragionamento parresiastico, l’allocuzione a un interlocutore privilegiato (che, soprattutto negli ultimi anni, è quasi sempre un uomo giovane). Il che porta a pensare che il Discorso in questo momento è sentito come una necessità che è superiore a quella del Canto, in quanto il Canto, pur rimandando sempre a una condizione originaria della voce, non può esistere in una condizione di inquinamento del Reale irreversibile. Come “prima” era necessario il Canto, “ora” è necessario il Discorso (inteso come discorso di verità).

Nella raccolta, l’espulsione di sé dalla voce della poesia corre in parallelo all’espulsione progressiva del soggetto dalla comunità degli umani, salvo restare aggrappato a due interlocutori, posti ai due poli estremi di una spazialità immaginaria dentro la quale il poeta può solo constatare la sua deprivazione: Ninetto a quello basso, Maria a quello alto. Ambedue testimoniano della perdita del rapporto con la poesia, perdita che produce (paradossalmente) un continuo, incessante bisogno di ricerca poetica. A questa mancanza si oppone l’elaborazione di una nuova forma di amore, che qui viene distribuita tra Ninetto e Maria, entrambi presi nel gioco per cui il soggetto li fa entrare nel testo poetico in quanto testimoni di un rapporto diverso con “l’altro”.

Nel 1969 Ninetto è in caserma ad Arezzo, dove svolge il servizio militare. Pasolini scrive alcuni componimenti a lui dedicati, tra cui uno che usa come titolo la formula «Comunicato all’Ansa», cioè nega il valore poetico dei versi e li riduce alla forma asettica con cui le notizie vengono trasmesse all’agenzia di stampa. In questa forma, di per sé scoronante, Pasolini cerca di rinchiudere un impossibile ritratto di Ninetto, considerato sia in rapporto alla situazione contingente (il servizio militare) sia nella prospettiva più ampia del destino che il ragazzo incarna. Ma per parlare di questo destino Pasolini convoca un metalinguaggio, quello che ha letto nel saggio di Claude Bremond sulle funzioni Beginning of page[p. 232] narrative (lo ha indicato per primo Giuseppe Zigaina14). Il metalinguaggio tecnico estrania la vita di Ninetto. Ognuna delle funzioni indicate da Bremond con linguaggio tecnico (realizzazione del compito, intervento dell’alleato, eliminazione dell’avversario ecc.) viene resa ridicola proprio nella messa in rapporto con la vita di Ninetto, dichiarato subito un soggetto anomalo e come tale non riconducibile ad alcuna categoria logica: «Anghelos è irriconoscibile» (inizio del componimento), «paria innocente: intoccabile sì, ma anche inattingibile» (fine del componimento). Intoccabile rimanda all’impossibilità delle pratiche erotiche, inattingibile a una impossibilità del conoscere: Ninetto non può essere “contenuto” all’interno delle categorie della narratologia imperante («fiaba fatta di nulla è la sua vita»), si sottrae ad ogni “funzione” e diventa un figlio impossibile, dal momento che la paternità non viene concessa a colui che parla, è una assenza che provoca un vuoto, ed è questo stesso vuoto il luogo da cui Maria canta, cercando di investire Pier Paolo di un ruolo paterno al quale lui rifiuta di adeguarsi: «Tu — ed è la prima volta che mi succede — | mi vedi simile a Lui, | Lui reincarnato e destinato a morire».15 Ma Ninetto è anche, trasfigurato, colui che «Va per il mondo | vestito in grigioverde come un cane dalla fauci piene de bontà».16 La metafora del cane, che rimanda alla filosofia cinica indagata come “stile di vita” da Foucault, ritorna nella raccolta più volte, per esempio nel testo successivo, «Comunicato all’Ansa (un cane)», dove il cane fermo sul ciglio della strada possiede sia dignità che bontà, e ispira la morale del verso finale, una ulteriore dichiarazione di cambiamento psicologico e comportamentale provocato dalla rinuncia all’eroismo: «Ecco quindi la mia conclusione: | la rassegnazione non ha niente da invidiare all’eroismo».17

Nella sezione seguente («Piccoli poemi politici e personali») il tono diventa invece intimo, quasi elegiaco: Ninetto è presentato come unico oggetto d’amore, e il legame tra lui e Pasolini costituisce il nucleo dei testi. Beginning of page[p. 233]

Il soggetto poetico ora — dal momento che il desiderio erotico esattamente come il desiderio di poesia si trasforma — può definire l’affetto come «un pretesto | per sapere di avere una possibilità — l’unica — | di disfarsi senza dolore di se stessi».18 Il dono possibile è quello che si può realizzare donando se stesso, anzi liberandosi di sé (o meglio del sé nel quale il soggetto ormai non si riconosce, il sé che ha compiuto una vita e vorrebbe iniziarne un’altra, con conseguente ulteriore conquista espressiva).

Maria canta da un vuoto che è nel cosmo, e Pier Paolo si dichiara escluso da questo luogo. La voce di Maria è piena di un dono che discende dal dono originario del Padre: Maria, come la Odetta di Teorema, è vissuta nel Primo Paradiso, e il suo canto contiene in sé quell’elemento paterno dal quale Pier Paolo è escluso, come è escluso dal canto. Ninetto invece è colui che provoca una trasformazione della sensibilità, nella quale il desiderio erotico si indebolisce e acquista la forma più stabile dell’affetto. Qui il tema dell’affetto preannuncia il tema testamentario che si fa strada nella Nuova gioventù, a mio parere il tema più interessante dell’ultimo Pasolini perché lo si trova ramificato in tutte le ultime opere, dalla prosa alla poesia alla saggistica. Il tema è connesso alla capacità di elargire che Maria pratica in quanto mandato paterno.

All’atto di elargire corrisponde (con un rovesciamento simmetrico) la volontà di liberarsi di sé. La liberazione dalla soggettività è l’ultima fase dell’espulsione del soggetto dalla dimora del linguaggio poetico, ma anche l’inizio di una nuova attenzione verso se stessi come soggetti di verità. Dunque possiamo leggere i due verbi del titolo della raccolta anche secondo questo significato: il trasumanar cioè il comporre poesia è divenuto ormai impossibile, e si richiede al soggetto una nuova trasformazione che implica un organizzar di sé che va in una direzione diversa. Il “testamento” non è un atto che prelude alla morte reale del poeta ma alla morte simbolica della sua soggettività: si tratta della testualità che contiene l’ultima parola, quella vera. La logica del ribaltamento percorre la raccolta, dove l’esibizione di episodi privati riconducibili sia a Ninetto che a Maria indica anche una nuova apertura dell’affetto e dell’erotismo. Beginning of page[p. 234]

La poesia «Versi del testamento» (dove il termine che allude alla fine della vita è presente nel titolo) esplicita il ribaltamento dell’atto erotico nel suo paradossale contrario, cioè nella ricerca della solitudine. Alla ricerca compulsiva della soddisfazione sessuale segue ora il bisogno della solitudine, che viene rappresentata dall’immagine del deserto (immagine capitale che attraversa il mondo pasoliniano e che trova la propria realizzazione visiva in Teorema e in Edipo re, con due deserti diversi, quello nero delle pendici dell’Etna e quello sabbioso del Marocco).

Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
— e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti — non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va.19

Possiamo leggere questa dichiarazione alla luce del processo di elaborazione della soggettività che Foucault individua nell’etica cinica, come momento di svolta fondamentale nel rapporto con la verità instaurato dai pensatori classici. La presenza dei filosofi cinici (coloro che vivevano per strada come cani) è direttamente implicata nei versi dall’immagine finale che Pasolini usa a proposito di sé e della propria solitudine: «[…] una camminata senza fine per le strade povere, | dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani»20. La coppia di attributi (disgraziati e forti) non ripete semplicemente la vecchia strategia retorica dell’ossimoro, alla quale Pasolini fa ricorso fin dall’origine della sua scrittura poetica.

L’essere «disgraziati» indica una nuova condizione di deprivazione e di rischio, connessa all’abbandono di un sé vitale che domina nella poesia degli anni Sessanta.

Il tema che possiamo individuare in questa trasformazione etica è quello della vita sovrana, così come Foucault lo delinea a proposito Beginning of page[p. 235] della filosofia antica. La vita sovrana è innanzitutto «la vita padrona di se stessa, superiore a ogni altra esistenza», e si caratterizza perché «tende all’instaurazione di un rapporto con se stessi che ha come fine il godimento, nei due significati del termine: come possesso e come piacere». Ma non si tratta assolutamente di un possesso di beni materiali o di una forza esercitata sugli altri. Al contrario: «Essere sovrani vuol dire prima di tutto essere in possesso di sé, appartenere a se stessi».21 L’appartenere a se stessi, il godere di sé, non implica né i piaceri del corpo né quelli che provengono da beni esterni ma i piaceri che si possiedono indefinitamente, «senza esserne mai spogliati»22. Pasolini parla degli atti erotici, che possono ripetersi infinitamente, proprio per contrapporre ad essi una condizione nuova che è espressa dall’immagine della solitudine e del deserto. Il deserto acquista qui un nuovo valore di pienezza, perché il soggetto si trova proiettato dentro questo vuoto non per la rinuncia ascetica alla sessualità ma grazie alla moltiplicazione dell’atto erotico, considerato come momento di godimento momentaneo che però appartiene a colui che lo dona e subito porta via con sé («il corpo gentile | che unge di seme e se ne va»), lasciando vuoto il soggetto si espone al massimo di desiderio pur senza concepire una fine, ma anzi considerando la fine solo come isolamento che è il contrario della pienezza: «La solitudine è ancora più grande se una folla intera | attende il suo turno»23 (che è la sintesi poetica dell’intero Appunto 55 di Petrolio, nel quale Carlo divenuto donna tenta l’esperimento di anomia erotica che corrisponde alla sua ribellione alla sudditanza al mondo del potere nel quale si muove con successo l’altra sua metà, il Carlo di Polis). Il vuoto ora sostituisce la mancanza, o meglio assistiamo a una reiterata presenza del vuoto là dove prima c’era solo mancanza: «il vuoto —afferma Recalcati— non è una mancanza che attiva il desiderio, perché il vuoto segnala piuttosto lo spegnimento del desiderio, la sua caduta».24Beginning of page[p. 236]

La pienezza non è un effetto dell’atto erotico, anzi la pienezza non è più un valore, ma lo diventa la solitudine, cioè la consapevolezza del possesso di sé che segue all’atto erotico, che anzi lo osserva come meccanismo inutile. Da qui nasce la possibilità di un nuovo rapporto con gli altri e con il mondo: «La presa di possesso di sé attraverso se stessi è l’atto fondatore che da un lato mi darà la capacità di godere di me stesso e che dall’altro lato mi permetterà di essere utile agli altri quando sono in difficoltà o in disgrazia».25 Così spieghiamo la ragione vera dell’atto testamentario. Pasolini si mostra portatore di un «dire il vero» che lo mette in una posizione assolutamente nuova di maestro. Grazie alla pratica della parresìa può esibire in pubblico il processo di elaborazione di una nuova forma di etica che gli consente di lasciare a un giovane la propria eredità intellettuale. Come «sovrano cinico» Pasolini ribadisce la sua posizione di chi sa. Ma il nuovo sapere deve essere assunto da qualcuno che può così imparare le regole di un’etica che ha origine da un atteggiamento di cura esercitato nei confronti degli altri: «La vita sovrana è dunque una vita di soccorso e di aiuto agli altri (allievi o amici). Anche sotto un altro profilo, tuttavia, essa è utile e benefica agli altri; lo è nella misura in cui rappresenta, di per se stessa, una sorta di lezione a carattere universale, impartita al genere umano attraverso un certo modo di gestire la propria vita: scopertamente e sotto gli occhi di tutti».26

Le strategie di esposizione che si moltiplicano negli ultimi lavori progettati da Pasolini a ridosso dell’anno della sua morte mirano a questo fine. Gestire la propria vita sotto gli occhi di tutti. Farne il modello di una nuova etica dove la vita diventa l’oggetto centrale di preoccupazione, per sé e per gli altri. La sessualità è al centro di questa ricerca e del processo di esposizione, così come è ormai al centro delle strategie del nuovo potere. Su questo terreno Pasolini instaura la sua ultima lotta con il nemico.

Notes

  1. La recensione viene raccolta nel volume postumo Descrizioni di descrizioni, che si cita da Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, 2 voll. (Milano: Mondadori, 1999), ii, pp. 1724–30.
  2. La poesia si cita da La nuova gioventù, in Pier Paolo Pasolini, Tutte le poesie, a cura di Walter Siti, 2 voll. (Milano: Mondadori, 2003), ii, pp. 460–62.
  3. Ludwig Binswanger, Tre forme di esistenza mancata (Milano: Bompiani, 2001), pp. 162–63.
  4. Per questo aspetto rimando al mio libro Esposizioni. Pasolini, Foucault e l’esercizio della verità (Bologna: il Mulino, 2017).
  5. Raffaele Donnarumma, «La poesia dopo la poesia: Trasumanar e organizzar di Pasolini», in Fra realtà e linguaggi nell’opera di Pasolini, a cura di Matteo Quinto e Matteo Cazzato, numero speciale di Autografo, 61 (2019), pp. 77–96 (p. 88).
  6. Stefano Agosti, La parola fuori di sé. Scritti su Pasolini (Lecce: Manni, 2004), pp. 29–30.
  7. Sintetizzo qui alcuni passaggi che si trovano in Michel Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri ii (Milano: Feltrinelli, 2011), pp. 234 sgg.
  8. Pasolini, «Il Gracco», dalla raccolta Trasumanar e organizzar, sezione «La nascita di un nuovo tipo di buffone», in Pasolini, Tutte le poesie, ii, pp. 61–63 (p. 63).
  9. Pasolini, Tutte le poesie, ii, pp. 68–71.
  10. Pasolini, Scritti sulla letteratura e sull’arte, ii, p. 2579.
  11. Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 26.
  12. Foucault, Il coraggio della verità, p. 67.
  13. Ibid., p. 73.
  14. Mi riferisco a uno dei saggi di Giuseppe Zigaina dedicato alla iscrizione della volontà di morte nell’opera di Pasolini, Pasolini e l’abiura. Il segno vivente e il poeta morto (Venezia: Marsilio, 1993), pp. 173–77.
  15. «La baia di Kingstown», in Pasolini, Tutte le poesie, ii, 196–98.
  16. «Comunicato all’Ansa (Ninetto)», in Pasolini, Tutte le poesie, ii, pp. 77–78.
  17. Ibid., p. 77.
  18. «Un affetto e la vita», in Pasolini, Tutte le poesie, ii, pp. 103–04 (p. 104).
  19. «Versi del testamento», in Pasolini, Tutte le poesie, ii, pp. 118–19 (p. 118).
  20. Ibid., p. 119.
  21. Foucault, Il coraggio della verità, p. 258.
  22. Ibid. p. 259.
  23. Pasolini, «Versi del testamento», p. 119.
  24. Massimo Recalcati, «Breve sintesi dei fondamenti della clinica del vuoto», in Il soggetto vuoto. Clinica psicanalitica delle nuove forme del sintomo, a cura di Massimo Recalcati (Trento: Edizioni Erickson, 2011), pp. 15–34 (p. 22). Tutto il discorso di Recalcati sul desiderio del capitalista fiancheggia le idee di Pasolini degli anni settanta e cerca di correggerne la natura tragica, ipotizzando una soluzione alla mancanza riconducendo il desiderio all’interno della Legge. Per Pasolini il desiderio resta sempre fuori dalla Legge, e quindi non è dialettizzabile. Detto questo non si può compiere a mio parere il passo successivo, cioè pensare che il vuoto sfoci nella pulsione di morte, come avviene in alcune posizioni critiche. Per me, anzi, questo ultimo Pasolini apre se stesso a nuove soluzioni emotive di vitalità, esattamente come afferma Roland Barthes nelle pagine dedicate al tema del Neutro.
  25. Foucault, Il coraggio della verità, p. 261.
  26. Ibid., p. 260.

Références

Bibliographie

  1. Agosti, Stefano, La parola fuori di sé. Scritti su Pasolini (Lecce : Manni, 2004)
  2. Bazzocchi, Marco Antonio, Esposizioni. Pasolini, Foucault e l’esercizio della verità (Bologne : il Mulino, 2017)
  3. Binswanger, Ludwig, Tre forme di esistenza mancata (Milan : Bompiani, 2001)
  4. Donnarumma, Raffaele, « La poesia dopo la poesia: Trasumanar e organizzar di Pasolini », dans Fra realtà e linguaggi nell’opera di Pasolini, éd. Matteo Quinto et Matteo Cazzato, numéro special de Autografo, 61 (2019), p. 77–96
  5. Foucault, Michel, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri ii (Milan : Feltrinelli, 2011)
  6. Pasolini, Pier Paolo, « Un affetto e la vita », dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 103–04
  7. « Comunicato all’Ansa (Ninetto) », dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 77–78
  8. « Il Gracco », dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 61–63
  9. « Italo Calvino, Le città invisibili », dans Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, ii, pp. 1724–30
  10. « Lengas dai frus di sera », dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 460–62
  11. Saggi sulla letteratura e sull’arte, éd. Walter Siti et Silvia De Laude, 2 vol. (Milan : Mondadori, 1999)
  12. Tutte le poesie, éd. Walter Siti, 2 vol. (Milan : Mondadori, 2003)
  13. « Versi del testamento », dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 118–19
  14. Recalcati, Massimo, « Breve sintesi dei fondamenti della clinica del vuoto », dans Il soggetto vuoto. Clinica psicanalitica delle nuove forme del sintomo, éd. Massimo Recalcati (Trento : Edizioni Erickson, 2011), p. 15–34
  15. Zigaina, Giuseppe, Pasolini e l’abiura. Il segno vivente e il poeta morto (Venise : Marsilio, 1993)

Filmographie

  1. Pasolini, Pier Paolo, Edipo re (Œdipe Roi) (1967)
  2. Il fiore delle Mille e una note (Les Mille et Une Nuits) (1974)
  3. La Ricotta (1963)
  4. Teorema (Théorème) (1968)