L’articolo analizza l’evoluzione del pensiero di Pasolini sulla Francia e su Sartre. Inizialmente, in «L’addio a Parigi», Pasolini critica la Francia per la sua decadenza, arrivando a definire Sartre “fascista” in quanto esponente di una cultura borghese morente e incapace di rinnovamento. Dopo l’incontro con Sartre nel 1962 Pasolini, in «Profezia», esplora l’idea della violenza rivoluzionaria attraverso la figura di Alì dagli Occhi Azzurri, legata alla resistenza algerina. Nonostante questa apertura, Pasolini ribadisce il suo completo rifiuto della violenza come strumento di lotta. Negli anni successivi, la figura di Sartre si trasforma in “San Sartre”, un’icona musealizzata incapace di generare vero scandalo se non attraverso una violenza che Pasolini dal canto suo cerca di superare con altri mezzi.
Mots-Clés: Francia; Algeria; violenza; Sartre; decolonizzazione
1. In un frammento di Le ceneri di Gramsci figura una menzione della Francia che vale la pena di leggere in limine:
Poco oltre, la Francia viene nuovamente menzionata: «A nient’altro che a questo ateo furore | poteva, nella cadente Francia, Goya | cedere la sua violenza. Qui, a esprimersi, | sono pura angoscia e pura gioia.»2Beginning of page[p. 166] Alba e tramonto, auge e decadenza: le categorie della filosofia della storia pasoliniana, dalle risonanze forse involontariamente spengleriane, mostrano che la Francia occupa un posto centrale nella teorizzazione di Pasolini.3
Si tratta di «Picasso», all’altezza di Le ceneri di Gramsci, vero e proprio manifesto di estetica.4 All’interno del poemetto, tra la «Francia più alta» e la «cadente Francia», si descrive il passaggio da una prospettiva modernista e rimbaudiana a una che, giunta l’epoca delle avanguardie storiche, non è più capace di produrre nulla di nuovo, né a livello storico-politico né a livello estetico.5 Si passa quindi da una piena e assoluta vitalità a livello culturale, a un decadimento e a un irrigidirsi di questa vitalità.
Ecco allora che Goya «cede il suo furore» a Picasso: l’analogia tra i due autori non si riferisce solo alla comune origine spagnola. L’altro riferimento sottinteso va al momento politico postrivoluzionario della figura di Napoleone: epoca di ripiegamento delle possibilità rivoluzionarie a livello politico come lo è quella di Picasso per la Francia a livello estetico.6 Se quindi l’alba dell’inizio del ventesimo secolo era Beginning of page[p. 167] già decadenza, se le sperimentazioni più outrées non erano altro che la riproposizione di moduli espressivi ormai consunti, ciò significa che politica ed estetica si rapportano all’orizzonte storico in uno stato di imperfetta e intermittente sconcordanza;7 e i momenti di effettiva evoluzione culturale sarebbero quelli in cui le espressioni estetiche trovano la propria congruenza con una piattaforma politica autenticamente progressiva. È così che ha luogo ogni rivoluzione; è così che la storia si carica di vitalità.
Questa dialettica tra momento storico-politico ed estetico all’insegna della non-contemporaneità, sembra ripresentarsi nell’epigramma «Alla Francia»:
Anche qui la Francia è termine di paragone grazie a cui inquadrare il rapporto tra momento storico-politico ed estetico: tutto ciò contribuisce a spiegare perché un epigramma dedicato a Sékou Touré si intitoli «Alla Francia». Sékou Touré è auerbachianamente posto in rapporto Beginning of page[p. 168] di equivalenza figurale con Rimbaud.9 L’elemento sottaciuto che consente di mettere in connessione Sékou Touré e Rimbaud è il concetto di preistoria. L’uomo appena uscito dalla preistoria ha «occhi vivi»: la semantica di vita-morte serve a Pasolini per concettualizzare regresso e progresso a livello culturale; l’elemento figurale che consente l’incontro tra Sékou Touré e Rimbaud è certamente la vitalità di cui entrambi caricano il cambiamento storico.
L’idea di figura, per Pasolini, è uno strumento per concettualizzare il non-contemporaneo. La risalita al «grigiore della storia», dalla fantasmagoria anarchica e piena di vita della preistoria, si era realizzata in letteratura con Rimbaud, e si sta realizzando ora in politica con il movimento della decolonizzazione. Va aggiunto che Pasolini sembra implicitamente proporre un’equivalenza tra l’uscita dalla preistoria, che si presenta quasi come costante metastorica, e l’idea di rivoluzione, che diventa un momento di rottura dell’orizzonte metastorico: l’orizzonte metastorico è in realtà già sempre implicitamente storicizzabile, in un certo senso. La Francia appare come l’esempio paradigmatico di questa rottura degli assetti metastorici, in una sorta di eresia (anti-)crociana.
2. Tracce di questa configurazione concettuale in cui alla Francia viene attribuito un ruolo fondamentale di pietra di paragone storico-politico-estetica riemergono in «L’addio a Parigi». La lirica, tra le poesie scartate del cantiere di Poesia in forma di rosa, narra un decollo dall’aeroporto di Parigi, città cui Pasolini si rivolge direttamente tramite la figura della prosopopea.
Inizialmente Pasolini intendeva includerla in una sezione dal il titolo «Ballate intellettuali».10 Se ne leggano le prime strofe: Beginning of page[p. 169]
Molto interessante l’ambientazione in aeroplano: Pasolini ha dedicato testi poetici anche ad altri mezzi di trasporto, come il treno; ma rispetto a quest’ultimo, qui il ruolo dell’intellettuale assume un valore allegorico differente: si astrae dal proprio punto di vista borghese — spostandosi in alto — per una prospezione di natura metastorica.12 Al contrario l’intellettuale in treno sembra pienamente assoggettato al binario della storia.13 Dietro questo volo nel cielo di Parigi definito «buca dell’Inferno» c’è forse un’allusione intertestuale all’episodio dell’Orlando Furioso in cui Astolfo in groppa all’ippogrifo ricaccia le Arpie nella «infernal caliginosa buca | ch’apre la strada a chi abandona Beginning of page[p. 170] il lume» (xxxiii, 128.1–2): Pasolini, identificatosi in Astolfo (notoriamente legato a Parigi), si troverebbe così a combattere contro una serie di nemici ideologici (marcati dal fascismo).
Risulta rilevante ancora una volta l’isotopia mortuaria, accompagnata dal concetto di sopravvivenza: proprio questa isotopia apre lo spazio al concetto di fascismo, inteso come agente di paralisi o morte storica.
Nel prosieguo del testo ritorna l’immagine del tramonto:
È possibile spiegare il riferimento alla tinta socratica dello smog ricordando il «grigiore della storia» di «Alla Francia»: lo smog, l’inquinamento, sono connaturati all’esercizio della democrazia (l’ultima «luminaria democratica») nel mondo attuale; contemporaneamente Socrate, cui Pasolini spesso si paragona, è il nome di un agente di razionalizzazione della società e vita politica, quindi di una voce che prelude a un esercizio di democrazia progressiva: altra incarnazione di Atena15 e attore di una uscita dalla preistoria. Ma lo slancio vitale pare essersi esaurito, tanto che la Francia viene presentata come un immenso «sacrario» a cielo aperto. Altro elemento di cruciale importanza è il riferimento all’«Angoscia»: su cui si tornerà più oltre.
I versi successivi sono ancora più sorprendenti: Beginning of page[p. 171]
Il riferimento alla «durezza» e ai «soldati» lascia intuire lo spettro dell’Algeria: è sullo sfondo storico della decolonizzazione e su quello metastorico della isotopia mortuaria, che Pasolini mette in relazione un oggetto ultramoderno, come l’aereo, con un’eternità bachiana, ossia con la stessa musica di Accattone,17 che dovrebbe esprimere una dimensione epico-religiosa, nazionale-popolare e in qualche modo profetica.18 Il richiamo all’Algeria induce a credere che le due morti tra cui può scegliere la Francia sono la fine e l’arresto dell’impulso storico rivoluzionario determinato dalla decadenza della propria grande storia connessa certo anche con il passato coloniale, da un lato, e il tradimento della propria cultura attraverso la violenza perpetrata in Algeria, dall’altro. Morte è sia continuare a essere sé stessa, sia smettere di essere sé stessa, per la Francia.
Ma l’elemento più sorprendente della strofa è il riferimento a Sartre. Come può Pasolini definirlo fascista?19Beginning of page[p. 172]
Prima di tentare di capire il perché di un simile giudizio, conviene concludere la lettura del testo:
Non si può non notare come torni il colore grigio di «Alla Francia»: «grigiore della storia» che si colloca però entro una più ampia cornice metastorica. Parigi e il suo cielo diventano epitome del «Fascismo» (da notare l’uso delle maiuscole), a significare una prospettiva ribaltata in cui l’amore, inteso come agente sociale che sottostà ai processi di democratizzazione, è ormai rivolto al «fossile civile del tuo Passato»: l’amore, fossilizzato (e quindi mutato in conformismo, conservatorismo), non può che produrre fascismo, o non è più sufficiente a Beginning of page[p. 173] contrastarlo, il che è lo stesso. In questo tentativo di riconoscere la radice metastorica del fascismo, presente in numerosi testi coevi, emerge il termine fossile, in riferimento alla parola «Passato»21 (le altre maiuscole sono «Contraddizione» e «Inferno»); e la contrapposizione con Roma tutta a vantaggio di Parigi nel segno di questo «antico, minuto amore».
Il concetto di amore pare rimandi all’idea di vita, nel quadro di una dialettica tra un suo proliferare incontrollabile, che in Pasolini può assumere diversi nomi, da «barbarie» a «preistoria», e una sua irreggimentazione e formalizzazione, ossia la storia. Questa dialettica sembra rimandare alla dialettica tra vita e forma di Pirandello, e a quella tra vita e storia presente nella quarta Inattuale nicciana.22 Indubbiamente Sartre è compreso in questa dialettica: sono, come insegna «Picasso», gli intellettuali stessi, gli artisti, a rendere vitale o meno una cultura. Dunque Sartre è fascista perché appartiene a una cultura morente, quindi incapace di associare al rinnovamento delle forme culturali, l’emancipazione delle masse.
3. È ovviamente opportuno datare questa poesia. Secondo Naldini, «[i]n dicembre Accattone è presentato a Parigi, con il titolo Les mendigots, in onore del comitato direttivo della comunità Europea degli Scrittori.»23 In quell’occasione, Michèle Manceaux pubblica un’intervista a Pasolini che esce il 14 dicembre 1961. Nell’intervista Pasolini fa alcuni riferimenti al fascismo, confessando di essere diventato antifascista grazie a Rimbaud (che è metonimia di tutta la cultura francese, anche quella politica).24 Potrebbe questa l’occasione che innesca la redazione della lirica. L’ipotesi appare attendibile anche sotto l’aspetto intertestuale; tanto più che i riferimenti a Bach nella poesia risultano Beginning of page[p. 174] riconducibili alla colonna sonora di Accattone, e al vasto dibattito che questa scelta aveva suscitato.
Oggettività e rinuncia all’autobiografismo delle «ballate intellettuali» sono parte di una «figura retorica» al quadrato, la «mimesi della mimesi»,25 imitazione di una voce altra, quindi asserire che «Sartre è fascista» equivarrebbe a dire, in un senso ironicamente iperbolico, dunque paradossale, che l’intera Francia, in quanto borghese, anche nelle sue punte ideologiche più avanzate, finisce per essere fascista, dato che appartiene a una cultura ormai morente: «È fascista chi è morente od ossesso!» Resta da capire di quali mediazioni mimetiche Pasolini si avvalga per poter dispiegare la sua critica alla Francia, attraverso Sartre. Probabilmente, trattandosi di un testo in prima persona che rievoca un’occasione autobiografica, Pasolini sta facendo il verso a sé stesso, in un disperato tentativo di auto-oggettivazione.
Sartre potrebbe essere stato scelto come epitome di «un certo intellettuale laico parigino, rappresentante supremo di una certa borghesia del mondo occidentale».26 Ma proprio Sartre, soprattutto in «Une victoire», ha per primo proposto una equivalenza tra atteggiamento della Francia in Algeria e fascismi: «aujourd’hui, c’est Chypre et c’est l’Algérie; en somme, Hitler n’était qu’un précurseur.»27 Ecco allora il senso che ha il riferimento a Rimbaud e all’antifascismo nell’intervista del 14 dicembre 1961: così come l’orizzonte ideale della cultura francese modernista e comunarda era ipso facto liberatorio (tanto da produrre Rimbaud), oggi, al contrario, si rivela ipso facto fascista, malgrado le posizioni politiche esplicite dei vari interlocutori. Si può sospettare che fin qui, Pasolini non abbia ancora conosciuto Sartre personalmente.
Che «Une victoire» possa aver costituito un terreno di riflessione importante per Pasolini lo si può inferire dal fatto che Poesia in forma di rosa, raccolta che cita Sartre esplicitamente e apre la strada alla riflessione Beginning of page[p. 175] panmeridionalista,28 si chiude su una lirica dal titolo «Vittoria». In ogni caso, se al centro di «L’addio a Parigi» si presenta il nome di Sartre, è perché il fulcro della lirica, ancorché taciuto, è la questione algerina.
4. Pasolini cita Sartre fin dal 1949.29 Nel 1962 (pochi mesi dopo «L’addio a Parigi») la prospettiva appare ormai irrimediabilmente cambiata. Pasolini su Vie nuove afferma:
L’esistenzialismo è un atteggiamento filosofico prodotto dall’estrema raffinatezza borghese, «angosciata» perché senza prospettive storiche, finita in un vicolo cieco. Esistenzialisti (ossia angosciati e… vitali) si può morire: ma da esistenzialisti si può anche diventare marxisti. Anzi, questa è una delle conversioni più tipiche al marxismo. Uno psicanalista — infernale — direbbe che è un caso di terapia istintiva. Di fronte all’angoscia estrema, l’angosciato inventa, o trova, una figura «guaritrice». Ecco l’unico rapporto che si può istituire, scherzando un poco, tra esistenzialismo e marxismo… L’Angst è così forte che il povero borghese coltissimo ne sta morendo: ed ecco che gli appare la figura di Marx, come Minerva o come la Madonna, e lo guarisce…
La vera storia comincia dopo.
Criticamente, comunque non c’è possibilità di coesistenza tra esistenzialismo e marxismo, perché il secondo comincia dove il primo finisce. L’esistenzialismo distrugge la realtà, il marxismo la ricostruisce.30
In «L’addio a Parigi» si fa riferimento all’«Angoscia Celtica»: è chiaro allora che Pasolini ha in mente, in questi passaggi critici, proprio la figura di Sartre. Non può che essere lui l’esistenzialista passato al marxismo. Tra il 1949 e il 1962, avvengono, quindi, una presa di distanza dall’esistenzialismo e un parziale riavvicinamento. Da Sartre guida a Beginning of page[p. 176] Sartre fascista, al riconoscimento di un Sartre miracolato dal marxismo: in questo senso, parrebbe plausibile una allusione alla recente pubblicazione delle «Questions de methode».31
Secondo le «Note e notizie sui testi» nell’edizione Mondadori di Tutte le poesie, «Pasolini conobbe Sartre a Parigi nel 1962, in occasione della traduzione francese di Una vita violenta, presso Buchet Castel».32 È forse a seguito di questo incontro che nasce «Profezia», uno dei testi di Poesia in forma di rosa poi espunti per confluire in Alì dagli occhi azzurri. «Profezia» reca la seguente dedica: «A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri».33 Alì dagli occhi azzurri è quasi certamente riferimento a un luogotenente di Alì La Pointe, realmente esistito, il cui nome è Mohamed Oudelha, detto Alì Z’yeux bleus:34
«Profezia» è un calligramma a forma di croce che comprende puntuali riferimenti all’Algeria, come nel seguente passaggio:
Beginning of page
[p. 177]Le willaye sono suddivisioni amministrative dell’Algeria. La poesia continua:
La questione algerina, richiamata attraverso la figura storica di Alì Z’yeux bleus, pone il problema, cruciale per Pasolini, della violenza rivoluzionaria. In questo calligramma, Alì è una sorta di trait d’union tra Cristo e Atena, come lei glaucopide; ma è un Cristo che anziché sacrificarsi, fa la rivoluzione, portando attraverso la violenza una nuova ragione, quella della negritudine, di cui Pasolini già parla in «La Guinea», e Sartre in «Orphée noir».36
Se «Profezia» dichiara la necessità di una assoluta sovversione della attuale condizione storica attraverso la violenza, modo unico per riconferire vitalità alla storia, Pasolini, con il mito algerino di Alì Z’yeux bleus, parrebbe riconoscere a Sartre di essere l’unico tra gli intellettuali ad avere la capacità di riflettere sulla violenza rivoluzionaria.37Beginning of page[p. 178] Il ruolo e la visione di Sartre, per Pasolini, dopo l’incontro parigino del 1962, risultano cambiati. La dedica di «Profezia», che pare quasi una domanda di primogenitura intellettuale, mostra un sorprendente cambiamento di prospettiva rispetto a «L’addio a Parigi».
Il riferimento alla violenza è di particolare importanza in un intellettuale fortemente attratto dal movimento non-violento, e andrà interpretato correttamente: c’è un Pasolini non-violento prima di «Profezia»38 e ce n’è uno dopo; ma i due Pasolini sono in parte diversi, e questo probabilmente per aver fatto i conti con Sartre. Nel maggio del 1962, Pasolini ad esempio scrive: «La rassegnazione in quanto non-violenza, in quanto mitezza, può essere un’arma potentissima».39
A ideale continuazione di «Profezia», Pasolini in un altro testo dell’epoca di Poesia in forma di rosa scrive:
Si noti il riferimento ai contadini, da un lato, e alla barbarie, dall’altro: due motivi — strettamente imparentati con la figura di Rimbaud, che al tempo di Pasolini può rivivere solo nell’Africa di Sékou Touré — che diventano fondamentali in Pasolini, acquisendo, a partire da Poesia in forma di rosa, nuova significazione. La continuità ideologica rispetto a «Profezia», con la sua dedica a Sartre, è in ogni caso rimarchevole.
La questione della violenza rivoluzionaria era già stata posta anche in «La realtà»:Beginning of page[p. 179]
La forza dell’intellettuale stava, qui, nella sua capacità di scandalizzare: ma non c’è traccia di un’idea di violenza come risposta postcoloniale.
5. Vale la pena allora di ricostruire le prese di posizione esplicite di Pasolini sul tema della guerra d’Algeria, collocandole sullo sfondo del vasto dibattito italiano e del rapporto stesso con Sartre.
Nel 1960, su «Tempo presente», compare una dichiarazione a sostegno del manifesto dei 121 in cui il nome di Pasolini non figura tra i firmatari benché vi sia quello di Moravia. Poco dopo, Pasolini partecipa a un’inchiesta su «Il contemporaneo», dove pubblica una «Testimonianza per i 121»;42 mancato l’appuntamento con «Tempo presente», Pasolini prende posizione chiaramente su una sede più vicina al mondo comunista, scrivendo:
In questo magma, proiettato verso un futuro cieco, affiora un fenomeno estremamente nitido e indubitabile. Il coraggio degli intellettuali francesi firmatari del manifesto. Uno fra gli episodi più belli e esaltanti degli ultimi anni. Appunto perché implica dubbi e contraddizioni: non è un bel gesto, pericoloso ma semplice, coraggioso ma ovvio. È, anzi, estremamente complicato. Il coraggio, questa volta, non è solo eroico, ma anche intellettuale. È frutto di una scelta Beginning of page[p. 180] difficile, in cui pure non possono non permanere dei dubbi. E per questo tanto più ammirevole.43
La testimonianza (un testo sul ruolo degli intellettuali francesi riguardo all’Algeria) mostra tutta l’ambiguità con cui Pasolini vive la situazione: «io sono con tutto il cuore per gli algerini: sarei pronto ad assumermi qualsiasi responsabilità, in loro favore.» E immediatamente dopo: «Ma anche qui il problema non è semplice, se, com’è ben noto, in Algeria c’è un milione di francesi.»44
Nella «Testimonianza», Pasolini descrive la situazione attraverso due termini chiave: contraddizione, che ricorre in «L’addio a Parigi», e magma, che per Pasolini è categoria di natura stilistica. Per Pasolini, il magma è dato auerbachianamente dalla commistione di stili differenti, elaborati in epoche storiche diverse: un altro modo di pensare il non-contemporaneo. Nel caso della «Testimonianza per i 121», il magma parrebbe dato dalla commistione tra piani storici, la decolonizzazione incipiente accanto ai molteplici rigurgiti fascisti che l’Europa non ha liquidato. Era probabilmente il magma che consentiva di definire l’atteggiamento di Sartre come fascista in «L’addio a Parigi»: l’aereo consente di astrarsi dal magma per assurgere a una visione transtorica. Un anno prima, il fascismo era menzionato in opposizione a de Gaulle: «Sono nemico di De Gaulle, ma sono più nemico dei fascisti che manifestano contro di lui: come si possono avere contemporaneamente due oggetti concomitanti, e fra loro avversi, di odio?»45
Successivamente, su «L’Europa letteraria», Pasolini pubblica una dichiarazione con ancora al centro la questione algerina:
Gli avvenimenti di Algeri e di Parigi sono angosciosi: non dimostrano affatto, mi pare, che «ogni ritorno fascista è destinato a fallire», ma che è in atto. I generali paras sono dei traditori che meritano la fucilazione: ma la soluzione De Gaulle è veramente molto migliore, a parte le simpatie che il De Gaulle della Resistenza si è riconquistato in questi giorni? Mettiamo insieme la Francia di De Gaulle, la Germania di Adenauer, la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, l’Italia vaticana… Bella Europa! I residui fascisti non Beginning of page[p. 181] hanno nessuna importanza: sono ormai del puro folclore: perché il fascismo non è più quello che è stato, l’arcaico fascismo di Mussolini e Hitler, che poteva andar bene contro la misteriosa Russia degli anni Trenta… Il neocapitalismo è meno stupido del capitalismo di allora.46
Il fascismo è l’orizzonte che insidia, come da tempo denunciato dal Sartre di «Une victoire», da vicino il senso dell’azione degli intellettuali borghesi europei. Sartre scriveva, ad esempio, nel 1958:
Fascisme? Anti-fascisme? Ils n’ont pas d’opinion et personne ne leur a demandé d’en avoir une. Ils répondront mollement : « Oh ! le fascisme avec de Gaulle, c’est le moindre mal. » Et l’on ira fort loin dans cette direction : quel que soit le massacre ou la Saint-Barthélemy organisés par ces commandos, on pourra toujours affirmer que les choses auraient été pires si de Gaulle s’était retiré.47
Ma Pasolini opera un’equazione tra neocapitalismo e nuove incarnazioni del fascismo che prelude al discorso sul nuovo fascismo della sua ultima fase. Questo apporto originale di Pasolini — un Sartre corretto con un po’ di Adorno, ma nel 1962 — è probabilmente debitore delle riflessioni di Sartre sulla falsa coscienza del francese rispetto alla guerra in Algeria:
D’autre part, un fascisme ou pseudo-fascisme français constituera un tel danger international qu’il n’aura aucune chance de durer. La première chose que penseront les Américains, c’est que l’inévitable contrecoup populaire amènera le Front Populaire et la victoire des communistes. Ils chercheront à se débarrasser du Gouvernement fasciste le plus rapidement possible, avant qu’il soit renversé par une lame de fond populaire. Il est même à souhaiter qu’ils ne nous escamotent pas les chances d’une vraie démocratie.48
La dedica di «Profezia» a Sartre, successiva a «L’addio a Parigi», mostra allora un riposizionamento riguardo all’intellettuale francese, in particolare sui temi del fascismo e della violenza (ma forse anche un rapporto in qualche modo antagonistico, come si evincerà dal trattamento del concetto di negritudine).Beginning of page[p. 182]
In sintesi: nel passaggio dal 1960 al 1961, Pasolini reinterpreta in senso maggiormente autoritario la figura di de Gaulle, profilando l’ipotesi di un nuovo fascismo; nei suoi testi poetici, d’altro canto, tra il 1962 e il 1963, prendendo in esame il problema della decolonizzazione algerina, introduce la questione della violenza come risposta alle varie incarnazioni storiche di fascismo, colonialismo e neocapitalismo. Si nota, in questo senso, un salto concettuale estremo tra «L’addio a Parigi» e «Profezia». La violenza si è trasformata infatti – per lo meno poeticamente – in una risposta disperata al magma storico (proprio mentre Pasolini dichiara di essere tornato «tout court al magma» estetico).49 Il laboratorio di questa serie di passaggi concettuali emerge in un saggio del 1961 dal titolo «La Resistenza negra».
Se il discorso sulla violenza, per quanto riguarda le poesie degli anni 1962–1963, può essere ricondotto anche, come vedremo, al primo capitolo di Les Damnés de la terre, in «La Resistenza negra», redatto prima dell’uscita del libro di Fanon e fortemente marcato dal mito della Resistenza e della lotta materiale, evocati anche da Sartre,50 Pasolini sembra riprendere alcuni passaggi argomentativi di Sartre in «Orfeo negro», nel tentativo di un superamento dialettico.
«La Resistenza negra» sembra porsi in dialogo con Sartre nella misura in cui questi registra nella lotta politica decoloniale l’orizzonte che giustifica il recupero delle antiche piattaforme stilistiche avanguardiste, in Europa altrimenti irricevibili. Sartre scrive: «Le dernier d’entre ces mythes, ce fameux “grand soir”, a reculé devant les nécessités de la lutte.»51 Pasolini, dal canto suo, scrive: «L’appoggio alla loro lotta non deve essere solo sentimentale o tattico: un momento “fiancheggiatore” della generale lotta politica: deve essere, ora, io credo, il momento centrale di tale lotta.» E poi continua:Beginning of page[p. 183]
Se l’integrazione figurale richiesta da ogni poeta è però una lotta come lotta, una lotta indiscussa, ontologica, insostituibile, inderogabile, accadente, s’intende che l’allusività di questa poesia è insieme troppo vecchia e troppo generica. La Resistenza — appunto perché soprattutto azione — non produce, neanche qui — come in Italia, come in Europa negli anni Quaranta — un prodotto culturalmente autonomo. Si tratta quasi sempre di un ibrido, di una contaminazione culturale. La reale cultura di ogni Resistenza, pare consistere in quel tanto di significativo che essa pone a integrare, direi quasi nella lettera, ogni poesia: cioè il suo stesso esserci, e, naturalmente, il suo grande futuro.52
Il tema per entrambi è la lotta poetica, come sublimazione e complemento della violenza rivoluzionaria. Resistenza e rivoluzione sono il completamento storico della violenza formale insita nel discorso surrealista o avanguardista: senza quelle, gli stilemi d’avanguardia perdono di senso, diventano ridicoli. Sartre, dal canto suo scrive:
à chaque époque sa poésie; à chaque époque, les circonstances de l’histoire élisent une nation, une race, une classe pour reprendre le flambeau, en créant des situations qui ne peuvent s’exprimer ou se dépasser que par la Poésie; et tantòt l’élan poétique coïncide avec l’élan révolutionnaire et tantòt ils divergent.53
Ma la «Négritude» è per Sartre
triomphe du Narcissisme et suicide de Narcisse, tension de l’âme au-delà de la culture, des mots et de tous les faits psychiques, nuit lumineuse du non-savoir, choix délibéré de l’impossible et de ce que Bataille nomme le “supplice”, acceptation intuitive du monde et refus du monde au nom de la “loi du cœur”, double postulation contradictoire, rétraction revendicante, expansion de générosité, [elle] est, en son essence, Poésie.54
In quanto tale, non è quindi razionalizzabile nella sua differenza, mentre per Pasolini la «Negritudine […] sarà ragione» proprio attraverso il passaggio agli strumenti della democrazia parlamentare secondo un Beginning of page[p. 184]cammino del tutto analogo a quello accaduto in Europa.55 Pasolini insomma registra una sconcordanza tra il piano storico su cui si pongono gli strumenti estetici della Negritudine e quelli politici, laddove Sartre sembra sottolinearne l’irriducibilità alle nostre stesse categorie storiche.
I riferimenti al fascismo, alla Resistenza e alla violenza che punteggeranno di lì a poco l’opera di Pasolini in questa fase storica possono trovare un valido reagente e, a volte, un riscontro intertestuale positivo nella posizione di Sartre sulla poesia nella decolonizzazione e sull’Algeria. A partire dal Sartre che riflette sulla decolonizzazione, Pasolini si interroga sulla questione della lotta politica, imparando a vedere nella borghese assenza di lotta una testimonianza di falsa coscienza che giustifica l’equivalenza tra borghesia intellettuale e fascismo. Ma rispetto alla piattaforma ideologica desumibile da «Orphée noir», parrebbe essere stato Fanon a offrire a Pasolini ulteriori elementi di riflessione.
6. Si ritorni all’incipit di «Profezia»: «Era nel mondo un figlio | e un giorno andò in Calabria.» Più oltre: «Alì dagli Occhi Azzurri | uno dei tanti figli di figli | scenderà da Algeri su navi a vela e a remi.» È difficile capire perché Pasolini definisca «figlio» e addirittura «figlio di figli» questo personaggio. Certo Pasolini ha cominciato a riflettere sul suo ruolo anagrafico, sul tema di padri e figli.56 Tutto ciò pone la figura di Alì su un piano molto diverso dal proprio; ma la tematizzazione così esplicita del suo ruolo di «figlio di figli» impersonato da Alì in incipit pare legata a una dimensione tanto idiolettale da risultare opaca per il lettore. Bisogna dunque cercare dei riscontri intertestuali.
Se si prende in esame il testo che Sartre pone a prefazione di I dannati della terra di Fanon, si può trovare qualche point de repère. Si veda un passaggio come il seguente: Beginning of page[p. 185]
Trois générations? Dès la seconde, à peine ouvraient-ils les yeux, les fils ont vu battre leurs pères. En termes de psychiatrie, les voilà « traumatisés ». Pour la vie. Mais ces agressions sans cesse renouvelées, loin de les porter à se soumettre, les jettent dans une contradiction insupportable dont l’Européen, tôt ou tard, fera les frais. Après cela, qu’on les dresse à leur tour, qu’on leur apprenne la honte, la douleur et la faim: on ne suscitera dans leurs corps qu’une rage volcanique dont la puissance est égale à celle de la pression qui s’exerce sur eux.57
Si noti oltre al riferimento ai figli, anche la presenza della parola rabbia (rage), cui Pasolini consacrerà il suo documentario del 1963, in cui la guerra d’Algeria ha un ruolo fondamentale. Ma più avanti: «Nous avons été les semeurs de vent; la tempête, c’est lui. Fils de la violence, il puise en elle à chaque instant son humanité : nous étions hommes à ses dépens, il se fait homme aux nôtres. Un autre homme : de meilleure qualité.»58 Oltre al motivo del figlio, e di tre generazioni di individui destinati a restare figli a causa del trauma, si registra anche quello della violenza: strettamente intrecciati, gli stessi ritornano nel testo di Pasolini, autore per il quale il sottoproletariato, fino all’inizio degli anni Sessanta, andava visto esclusivamente in una sorta di cristologica vocazione al sacrificio. Se poi si scorrono le pagine del testo di Fanon, che in Italia esce nel 1962, ma che Pasolini avrebbe potuto già sfogliare alla fine del 1961 nelle sue visite in Francia, si legge un passaggio come il seguente:
La violence assumée permet à la fois aux égarés et aux proscrits du groupe de revenir, de retrouver leur place, de réintégrer. La violence est ainsi comprise comme la médiation royale. L’homme colonisé se libère dans et par la violence. Cette praxis illumine l’agent parce qu’elle lui indique les moyens et la fin. La poésie de Césaire prend dans la perspective précise de la violence une signification prophétique.59
Non è forse un caso che un testo in cui Pasolini inserisce in modo così abnorme la questione della violenza si intitoli «Profezia». Ed è in un fitto dialogo con Sartre e Fanon che Pasolini mette in relazione alla Beginning of page[p. 186] piattaforma ideologica del panmeridionalismo anche un corollario di violenza.
Solo a partire dagli anni Sessanta Pasolini mette pienamente al centro del cambiamento del mondo il sottoproletariato contadino, anche qui verosimilmente, sulla scorta di Sartre, che scriveva nella Prefazione ai Dannati della terra:
tous doivent s’aligner sur les positions des masses rurales, véritable réservoir de l’Armée nationale et révolutionnaire; dans ces contrées dont le colonialisme a délibérément stoppé le développement, la paysannerie, quand elle se révolte apparaît très vite comme la classe radicale: elle connaît l’oppression nue, elle en souffre beaucoup plus que les travailleurs des villes et pour l’empêcher de mourir de faim, il ne faut rien de moins qu’un éclatement de toutes les structures.60
Pasolini affermerà qualche anno più tardi:
Ora, a questo punto della storia, la classe contadina si sta risvegliando dappertutto. Sono stati i contadini a fare le rivoluzioni, sono diventati loro i protagonisti di uno dei massimi eventi della storia contemporanea: l’emergere del Terzo Mondo. Anche la fascia contadina italiana sta diventando rivoluzionaria.61
Pasolini intesse quindi attorno alla guerra d’Algeria un dialogo con Sartre che denota più punti di incontro ma anche momenti di dissociazione. La partita decisiva si gioca appunto sul tema della violenza.
Nel 1965, Pasolini scriverà:
Quanto alla Francia, in questa come tutte le nazioni «opulente» del Nord Europa, non c’è soluzione di continuità da Rimbaud o Flaubert in poi: non si è mai avuta una rivoluzione critica, nemmeno di generazione. La concatenazione dei modi letterari non è stata mai interrotta. La gerarchia dei valori è sempre stata la stessa, e nessuna divisione, né fittizia né reale ha mai discriminato il pantheon francese. Non si è avuta una vera e propria letteratura dell’impegno (la Resistenza ha dato delle opere, spesso stupende, ma legate stilisticamente alla tradizione recente): alla continua e geniale presenza saggistica di Sartre non si è aggiunta una produzione così rilevante da costituire un nuovo periodo letterario: l’engagement è stato quasi esclusivamente saggistico, non creativo ecc. Nella testa di un giovane uomo di cultura marxista francese non esiste un canone morale Beginning of page[p. 187] di scelta letteraria: nel suo pantheon c’è Sartre vicino a Mauriac, Tel Quel vicino a Clarté: gli odi e le avversioni avvengono tutti prima dell’operazione letteraria, in sede saggistica o ideologica.62
Nel Pantheon: ancora una volta una allusione alla dimensione mortuaria che caratterizza anche la figura di Sartre, stavolta ridotto a mera icona, in un certo senso. Questa scena troverà poi una realizzazione nella sceneggiatura di Uccellacci e uccellini.63 Pasolini continua:
D’altra parte, se un fanatico in nome di una condanna ideologica mutuata dalle ricerche italiane degli anni Cinquanta, volesse fare piazza pulita, svuoterebbe il pantheon, che diverrebbe tout court una basilica dedicata a san Sartre e alle sue costellazioni. Il marxismo francese non ha espresso una forza culturale media che esercitasse una critica rivoluzionaria rispetto alla cultura precedente al marxismo. Forse perché in Francia non c’era possibilità di scandalo: e nulla si pone scandalosamente in rapporto dialettico col liberalismo francese.64
Pasolini sembra chiosare, all’interno delle Poesie marxiste, in un testo dedicato a una prosopopea di Sartre: «È necessario che gli scandali avvengano, ma io non mi scandalizzo.» Poco oltre: «E inoltre (aggiunge il dolce uomo che non si scandalizza […]) non c’è la critica al marxismo.»65 Il passaggio riecheggia le frasi pronunciate da Sartre in un dialogo tra Sartre e Pasolini che Maria Antonietta Macciocchi pubblicò sull’Unità del 1964: «il razionalismo francese manca di una critica del razionalismo, così come non esiste una critica del marxismo.»66 È tuttavia assente nel testo di Macciocchi il riferimento allo scandalo; e si tratta di un elemento cruciale. Anche perché contestare a Sartre la sua imbalsamazione è tanto ingiusto quanto definirlo fascista, soprattutto se si pensa allo scandalo che proprio le sue posizioni sulla decolonizzazione avevano suscitato.67Beginning of page[p. 188]
Nei Dannati della terra Fanon scrive:
Car la violence, et c’est là le scandale, peut constituer, en tant que méthode, le mot d’ordre d’un parti politique. Des cadres peuvent appeler le peuple à la lutte armée. Il faut réfléchir à cette problématique de la violence. Que le militarisme allemand décide de régler ses problèmes de frontières par la force ne nous surprend point, mais que le peuple angolais, par exemple, décide de prendre les armes, que le peuple algérien rejette toute méthode qui ne soit pas violente, prouve que quelque chose s’est passé ou est en train de se passer.68
Lo stesso Sartre: «Par cette raison, son livre est scandaleux.»69
Che Pasolini abbia deciso, nel 1965, di ignorare e cancellare lo scandalo della violenza destato dalle parole di Sartre su Fanon, è estremamente significativo. Sartre era stato scandaloso; il problema è che è lo stesso Pasolini a sembrare incapace di suscitare scandalo in lui. Pasolini sembra riflettere sul fatto che sia possibile gettare scandalo senza bisogno di ricorrere alla violenza. Anzi: in una società senza scandalo come quella francese, proprio quella soluzione nonviolenta che Pasolini non può davvero abbandonare, risulta in qualche modo impraticabile; lo scandalo per Pasolini deve essere un sostituto, un’alternativa alla violenza, non generato dalla violenza stessa.
Nel 1962, Pasolini aveva scritto nelle «Poesie mondane»:
Questa passività — quella dei nonviolenti condannati da Sartre — è un punto di particolare distanziamento ideologico da Sartre. Scrive Sartre:
si la violence avait commencé ce soir, si l’exploitation ni l’oppression n’avaient jamais existé sur terre, peut-être la non-violence affichée Beginning of page[p. 189] pourrait apaiser la querelle. Mais si le régime tout entier et jusqu’à vos non violentes pensées sont condition nées par une oppression millénaire, votre passivité ne sert qu’à vous ranger du côté des oppresseurs.71
Pasolini sottolinea, in «Vittoria», un titolo come si è già detto significativamente sartriano:
«Non con la violenza | delle vecchie, disperate armi»: la riflessione sulla violenza rivoluzionaria che pare avviata sulla scorta di Sartre sembra essere approdata al suo rifiuto, in un tentativo di confutazione. «Vittoria» si chiude sull’immagine dei partigiani redivivi che fuggono di nuovo via verso le montagne, imbracciando lo sten: letteralmente si portano via la violenza. Il testo si chiude con la seguente frase: «Eppure è un giorno di vittoria.»73 Lo spazio della violenza torna per Pasolini impraticabile, persino nei sogni, e questo è per lui un aspetto della vittoria. Nel frattempo, la metrica mostra un ritorno all’ordine, abbandonando il magma, riprendendo volontaristicamente la terzina.
Attorno alla questione della violenza rivoluzionaria Pasolini conduce tra il 1962 e il 1963 tutta una riflessione: «L’addio a Parigi» si situa allora a monte di questa riflessione mentre «Vittoria» si situa a valle; ma l’esito è comunque il rifiuto della possibilità della violenza rivoluzionaria come risposta al fascismo sopravvivente nella nostra cultura; non a caso, in un frammento di un altro testo, Pasolini parlerà di «un falso dilemma tra la Rivoluzione e un’Entità | che vien detta Centrosinistra — con rossore dei Linguisti…»74
Questo rifiuto della violenza si produce attraversando Sartre, che determina un parziale cambiamento di prospettiva. Nel 1961 Sartre poteva essere dichiarato fascista; nel 1965 è diventato «San Sartre»: Beginning of page[p. 190] un intellettuale, intoccabile, anche dallo stesso Pasolini, ma una figura da Pantheon, imbalsamata. Tuttavia, non poteva più rappresentare «l’intellettuale laico parigino»; forse per questo in Uccellacci e uccellini l’episodio francese non realizzato dedicato all’aquila attribuirà questo ruolo a un semplice Cournot. L’aver parlato di violenza, la sua incapacità di scandalizzarsi, avevano reso Sartre un morto:
I “Grandi” di Francia, statue o ritratti, o litografie o stampe che siano, sono allineati lungo le pareti del Pantheon: Sartre accanto a Mauriac, Camus accanto a Claudel eccetera, secondo l’ordine di prestigio e di successo. Soffia il vento lontano e vivo sulle loro facce presenti e morte.75
Sartre morto in vita: l’intellettuale francese esprime la capacità della Francia di sospendere il tempo, e la sua capacità di problematizzare il rapporto tra dimensione istoriale del discorso estetico e di quello politico, ma anche la sua incapacità di produrre il nuovo a livello di sintesi politico-estetica; un nuovo che dovrebbe destare scandalo, ma senza violenza.
Dietro la riflessione pasoliniana sulla violenza attorno a Sartre, materiata in «L’addio a Parigi», in «Profezia», in Uccellacci e uccellini (episodio «Uomo bianco»), c’è allora il passaggio dalla speranza di aver individuato in un intellettuale la voce capace di far saltare il continuum della storia alla rassegnazione di fronte a questa impossibilità.
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