Copy to Clipboard. Add italics as necessaryCitation: Silvia De Laude, «Il Proust di Pasolini. Qualche appunto», dans Pasolini. Dialogues avec la France / Dialoghi con la Francia, éd. Marco Antonio Bazzocchi, et al., Cultural Inquiry, 36 (Berlin: ICI Berlin Press, 2025), p. 17–36 <https://doi.org/10.37050/ci-36_02>

Il Proust di PasoliniQualche appuntoSilvia De Laude

Abstract

Il saggio documenta l’esistenza nel primo Pasolini narratore di un’ipotesi Proust alla quale solo in un secondo tempo, in seguito all’innamoramento delle ‘borgate’, si è sostituita una più visibile, duratura e rivendicata ipotesi Dante, dopo un periodo di singolare convivenza testimoniata dai racconti dei primi anni Cinquanta confluiti in Alì dagli occhi azzurri (1965).

Mots-Clés: Pasolini; Proust; Dante; narrativa giovanile; Meridiani

Su Pasolini e Proust esiste un saggio di Walter Siti, che comincia con una frase nominale ad effetto: «Oriane de Guermantes e Tommasino Puzzilli, strana coppia». In Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini, il saggio è riproposto dall’autore con un cappello introduttivo che riconosce le implicazioni anche personali e autobiografiche di quelle pagine, apparse per la prima volta nel 1996 in una miscellanea pisana in onore di Luigi Blasucci, e scritte mentre era già impegnato nella stesura del suo primo romanzo, Scuola di nudo:

Qui c’è poco da dire, se non che è l’esplicitazione di una mia scelta di poetica: insieme al piacere di indicare una fonte pasoliniana inattesa, c’era il gusto di mostrare Pasolini in una evidente postura di epigono. Partendo da una percezione del desiderio erotico non molto dissimile, il romanziere grandissimo e quello di media levatura si separano non soltanto quanto a risultati ma anche e soprattutto sul piano etico: Proust capisce la lezione, sconta la propria nevrosi e rinuncia a vivere, per scrivere; Pasolini lascia che sia la vita a divorare la scrittura e coltiva disperato la propria coazione a ripetere; nemmeno il “laboratorio” di Chia sarebbe diventato per lui, se non fosse stato assassinato, un analogo della stanza foderata di sughero di boulevard Haussmann.1Beginning of page[p. 18]

Al di là delle implicazioni personali e autobiografiche, che spesso comunque stanno dietro alle prove saggistiche migliori, e che in questo caso sono anche più complicate (perché Proust è anche fra i modelli del Siti narratore), l’intuizione era formidabile. Tanto più che il nome di Pasolini non si incontrava in nessuno dei bilanci sul proustismo in Italia (se è per questo, neanche adesso), ma soprattutto anche perché allora, nel ’96, l’agnizione critica del saggio (l’esistenza cioè, per Pasolini, di un’ipotesi Proust sostituita dall’ipotesi Dante subentrata con la “cotta” per le borgate e per il realismo dei primi anni Cinquanta) poteva essere suffragata solo sulla base di un pugno di testi giovanili in prosa. Penso soprattutto al ciclo narrativo I parlanti e ad alcuni racconti pubblicati da Nico Naldini in Un paese di temporali e di primule. Erano sconosciuti invece, nel ’96, altri testi, nei quali la consonanza stilistica e tematica con la Recherche arriva a prelievi al limite del calco, e che con Siti abbiamo pubblicato più tardi nei due volumi di Romanzi e racconti della nostra edizione delle opere complete nella collana dei “Meridiani” (1998).2

Alcuni episodi della prima versione della Meglio gioventù-romanzo, l’incompiuto e forse interminabile Romanzo del mare, «La Recherche sacilese» e altri racconti inediti o solo abbozzati avvalorano l’esistenza di un “periodo proustiano” della narrativa di Pasolini — e uso il termine “periodo” nel senso in cui si parla per esempio, per Picasso, di un «periodo blu» o di un «periodo rosa». Questo perché i testi a cui alludo presentano tratti distintivi comuni, proprio come la dominanza del blu o del rosa in Picasso. Sono testi che si concentrano negli anni dal ’46 al ’51, apice con l’uscita dei Parlanti (nel ’51, anche se i racconti del ciclo risalgono com’è dichiarato in calce al ’46–’47) di un proustismo Beginning of page[p. 19] che si estende anche a diverse delle prime pagine romane, come «Notte sull’Es» e «Squarci di notti romane», confluite in Alì dagli occhi azzurri o come «Ragazzo e Trastevere».

Come ha osservato ancora Siti nel saggio introduttivo ai due volumi di Romanzi e racconti, «se pensiamo solo ai romanzi che Pasolini ha pubblicato in vita, e all’ordine in cui li ha pubblicati, possiamo anche avere (come infatti spesso la critica ha avuto) l’impressione di un’occasionalità un po’ velleitaria ed eteroclita».3 Rispetto all’ininterrotta fedeltà alla poesia in versi, o all’energia spesa per il cinema, il lavoro di Pasolini sulla forma romanzo può apparire legato al partito preso di esercitare il suo talento in tutti i generi possibili, e magari anche all’ansia di successo, più che a un’intima necessità. Considerando solo il suo decorso editoriale, insomma, Pasolini può sembrare un narratore per caso: un poeta o un regista prestato occasionalmente alla narrativa, che tocca il suo apice con Ragazzi di vita e Una vita violenta, al momento dell’infatuazione per le borgate e per il realismo, dell’adozione dell’indiretto libero e di tante commosse frasi rubate sulla bocca dei giovani parlanti romani, per entrare nella testa dei propri oggetti d’amore.

Il quadro è completamente diverso se esaminiamo come abbiamo fatto nei “Meridiani” tutti i progetti romanzeschi di Pasolini nel giusto ordine cronologico senza tenere distinti in volumi o sezioni diverse gli abbozzi e i testi inediti. Forse gli abbozzi e gli inediti contano ancora più degli editi, «perché — è ancora Siti ad osservarlo — quel che resta del Pasolini romanziere è più la tensione verso il romanzo che i singoli romanzi realizzati» — e forse proprio per questo si può sostenere che Petrolio è il più genuino dei romanzi pasoliniani, «perché invece di raccontare una storia racconta il bisogno di fare i conti col romanzo».4

Completamente omesso dal «poema | bio-bibliografico» Poeta delle Ceneri, che ricorda solo Ragazzi di vita e Una vita violenta,5 un Pasolini narratore preesiste a Ragazzi di vita. Sono centinaia e centinaia di pagine che si collocano, come dicevo, fra il ’46 e il ’51 e Beginning of page[p. 20] comprendono, insieme ad alcuni racconti, addirittura cinque romanzi, rimasti per motivi diversi nel cassetto. Tre di questi romanzi (Atti impuri, Il romanzo del mare e La meglio gioventù: titolo questo che poi verrà dirottato alla raccolta organica dei versi in friulano, pubblicata nel 1954) risultano travagliatissimi, oggetto di scritture e riscritture tormentose. Non sono incursioni sporadiche in terra straniera ma un vero continente narrativo sommerso, che coincide con un “periodo” preciso della scrittura di Pasolini — per questo ho parlato di “periodo” e fatto l’esempio del «periodo blu» o del «periodo rosa» di Picasso: si disegna, in quegli anni, un progetto di scrittura che ha come matrice una incontenibile pulsione autobiografica; una scrittura auto-analitica che riesce ad essere, però, anche mimeticamente preziosa; una scrittura dalla sintassi complessa, che esibisce la sua ostinazione ad assecondare le pieghe della sensibilità. Il grande modello di questa stagione, diciamo di questo “periodo” del Pasolini prosatore, è appunto Proust, letto con passione negli anni dell’adolescenza.

Sappiamo che alla narrativa Pasolini era arrivato relativamente tardi, rispetto alla poesia (nel 1945–’46 — e sei anni, quando si è ragazzi, sono tantissimi). A spingerlo verso la prosa era stata un’esigenza di autoanalisi, lo sforzo di dire tutta la verità. Nel saggio introduttivo ai volumi di Romanzi e racconti già citato, Siti ha parlato di «un tarlo della sincerità», che «non gli dà pace e rode la pura grazia “irresponsabile” da cui erano nate le Poesie a Casarsa». Nel novembre ’45, scrive al giovane poeta in friulano Franco de Gironcoli: «mi sembra ormai considerazione di ordine inferiore anche l’intendere la poesia in friulano come un limbo consentito a chi voglia sfuggire a un impulso morale di troppa e assoluta sincerità».6 A Silvana Mauri, nel ’46 confida: «non scrivo quasi più nulla perché sono entrato in uno di quegli stati pieni di disagio, in cui, scrivendo, non si desidera altro che essere sinceri»).7 Non è un caso che il primo approccio narrativo sia un diario, i Quaderni rossi, che Pasolini comincia a tenere nel ’46, e che si apre con alcuni micro-racconti costruiti intorno a ricordi infantili enigmatici. Proust e Freud, altra lettura dell’adolescenza, in questa fase vanno a braccetto.Beginning of page[p. 21] La scrittura che in questo periodo Pasolini sperimenta nella latitudine del narrativo ha come matrice una incontenibile pulsione autobiografica; è una scrittura auto-analitica, preziosa, dalla sintassi complessa, che esibisce la sua ostinazione ad assecondare le pieghe della sensibilità. Il grande modello di questa stagione, a volte esibito, a volte evocato in modo allusivo, è appunto Proust, letto con passione negli anni dell’adolescenza.

Nel saggio di Siti su Pasolini e Proust, a far scattare il clic dell’agnizione era stato un passo dei Parlanti, il ciclo di racconti del ’46–’47 apparso sulla rivista romana Botteghe Oscure nel 1951. Già nel primo racconto (proustianissimo fin dal titolo, «Gli adorati toponimi»), si riconosce una criptocitazione della terza parte di Du coté de chez Swann, quella intitolata «Noms de pays: le nom»:

Se dovessi scomporre la carica riassunta nel nome di uno dei paesi di questo stallo, di questo confino, che è divenuta per me la zona della riva destra del Tagliamento che ha per centro Casarsa, è certo che l’accento più debole cadrebbe sulla meraviglia di vedere così stupendamente tradotto il mistero del luogo nel mistero del nome. La mia ammirazione per gli ignoti poeti celti, slavi o romanzi a cui si deve attribuire l’invenzione dei nomi della mia colonia amorosa, sarebbe, per quanto commovente, un fatto un poco secondario. In effetti ecco il senso del nome Castions in questo brano del mio diario: «… a sedurci era l’idea del pubblico, della rustica platea, dell’atmosfera di amore pesante e distratto nascente da tutti quei giovani e ragazzi, che, durante gli intervalli addolcivano la loro turbolenza con certi splendori di capelli, con certe attenzioni di sguardi…».8

E continua, sempre riportando brani di un diario, con altri “adorati toponimi” (Caorle, Villotta):

un po’ fuori dalla cerchia dell’intimità locale, ammorbata dalla confidenza sfrenata, ecco il senso di Caorle: «… Forse infine, e soprattutto, era quella doratura fallica che uno straniero come me annusa in ogni trascurabile fatto o presenza dei luoghi sconosciuti, quell’Eros collettivo, indigeno, quasi folcloristico, che si spezza e si rifrange come in un prisma nella folla degli ignoti vestiti a festa», o il senso di Villotta: «Quando giunsi a Villotta, che stupore. Era un paese fresco e nuovo, un paese della California. Tesi l’orecchio: vi si parlava un dialetto che non era veneto benché ne avesse la vena saettante: era la Beginning of page[p. 22] maschera funebre del friulano; e intanto mi guardavo intorno, chiedendomi se per caso non vedessi ancora svolazzare, un po’ stanca, la colomba del diluvio».9

Il riferimento è a passi famosi della Recherche, come quello sui toponimi Bayeux, Vitré, Lamballe, Coutances; e ancora Lannion, Questambert, Pontorson, Benodet, Pont-Aven, Quimperlé:

Bayeux si haute dans sa noble dentelle rougeâtre et dont le faîte était illuminé par le vieil or de sa dernière syllabe; Vitré dont l’accent aigu losangeait de bois noir le vitrage ancien; le doux Lamballe qui, dans son blanc, va du jaune coquille d’oeuf au gris perle; Coutances, cathédrale normande que sa diphtongue finale, grasse et jaunissante, couronne par une tour de beurre ; Lannion avec le bruit, dans son silence villageois, du coche suivi de la mouche; Questambert, Pontorson, risibles et naïfs, plumes blanches et becs jaunes éparpillés sur la route de ces lieux fluviatiles et poétiques; Benodet, nom à peine amarré que semble vouloir entraîner la rivière au milieu de ses algues; Pont-Aven, envolée blanche et rose de l’aile d’une coiffe légère qui se reflète en tremblant dans une eau verdie de canal; Quimperlé, lui, mieux attaché, et depuis le Moyen Âge, entre les ruisseaux dont il gazouille et s’emperle en une grisaille pareille à celle que dessinent, à travers les toiles d’araignées d’une verrière, les rayons de soleil changés en pointes émoussées d’argent bruni.10

O quello, ancora più famoso, su Parma:

Le nom de Parme, une des villes où je désirais le plus aller depuis que j’avais lu la Charteuse, m’apparaissant compact, lisse, mauve et doux, si on me parlait d’une maison quelconque de Parme dans laquelle je serais reçu, on me causait le plaisir de penser que j’habiterais une demeure lisse, compacte, mauve et douce, qui n’avait de rapport avec les demeures d’aucune ville d’Italie, puisque je l’imaginais seulement à l’aide de cette syllabe lourde du nom de Parme, où ne circule aucun air, et de tout ce que je lui avais fait absorber de douceur stendhalienne et du reflet des violettes.11

Se Proust per Parma evoca il color malva, Pasolini si incanta in alcune pagine tagliate dei Parlanti (ma riprese nel racconto del ’48 «Le soglie di Pordenone») di fronte alla «rigida bianchezza» del nome Càneva,Beginning of page[p. 23] la «luce rossastra e molle» che accarezza le sillabe di Polcenigo, la «sensazione di alto, esotico e rupestre»» che aleggia intorno al nome di Sarone, «così popolare [aggiunge] tra noi ragazzi» (cioè sentito pronunciare dai ragazzi tante volte, diventando quasi un lemma del gergo di quella che proprio nei Parlanti è definita da Pasolini la propria «colonia amorosa»).

La filiazione da Swann è diretta, e neppure concentrata episodicamente nei passi che ho citato prima, su Castions, Caorle e Villotta. Dopo Sarone è la volta di Fuessis:

la mia candida passione glottologica ha origine altrove che nella glottologia… Generalmente non godo il toponimo descrittivo anche se dotato di quell’equivalenza col reale per cui il peso fisico passa dalla materia all’espressione: Fuessis, luogo tortuoso e ricco di fossi. […] La fulmineità del toponimo ricava dall’intraducibile della fisionomia di un luogo quel tanto che basta a individuarlo in modo essenziale, operando miracolosamente il nesso dell’analogia e quasi del processo automatico, se si accetta la presenza, non so, di un Inconscio agricolo e climatico.12

Nei toponimi dunque il significato è legato al significante da un rapporto cratiliano di imitazione: entrano in gioco suggestioni cromatiche, foniche, anche particolarità di pronuncia, che ancora fanno pensare alla Rercherche (vedremo più avanti la grave nota perigordina della voce di Andrée, l’amica di Albertine, e lo strano modo di pronunciare la O di un ragazzo contadino, un certo Mario S., altra «strana coppia»).

Un ruolo a parte, sempre in un racconto del ciclo dei Parlanti, ha il toponimo Pordenone:

Pordenone — il nome — apparve nella sua vita collocandosi su un piano tutto diverso dagli altri. Intanto, era rimasto lungamente legato al ricordo di una cartella comprata in un negozio della cittadina, dove erano piovuti per caso lui e suo padre: probabilmente avevano fatto il viaggio in treno e si erano trattenuti a Pordenone solo poche ore del dopopranzo, e di tutta la città egli non aveva colto che l’interno della cartoleria, per la soggezione che dovette provarvi; […] il nome della cittadina non mancava di incutergli una specie di intenso rispetto, quasi di panico, forse per l’apparenza accrescitiva del nome, certo per il livello di maggiore modernità e di maggiore progresso in cui l’opinione comune di tutta la zona lo collocava senza riserve. […] Beginning of page[p. 24] Finalmente un giorno gli accadde di andarci in bicicletta. Si trattò di un avvenimento memorabile, da essere approfondito in tutto un capitolo a parte del romanzaccione della sua infanzia sacilese.13

Ai toponimi friulani se ne aggiungono altri, che appartengono a luoghi non esplorati con gli occhi e i sensi di un antropologo innamorato, ma piuttosto fantasticati su un atlante, come Casale Monferrato, da cui proveniva la nonna materna.14

la mia candida passione glottologica ha origine altrove che nella glottologia… Generalmente non godo il toponimo descrittivo anche se dotato di quell’equivalenza col reale per cui il peso fisico passa dalla materia all’espressione: Fuessis, luogo tortuoso e ricco di fossi. […] La fulmineità del toponimo ricava dall’intraducibile della fisionomia di un luogo quel tanto che basta a individuarlo in modo essenziale, operando miracolosamente il nesso dell’analogia e quasi del processo automatico, se si accetta la presenza, non so, di un Inconscio agricolo e climatico.15

Nel brano dei Parlanti su Fuessis, è fatto riferimento ad una «passione glottologica» la cui origine è «altrove che nella glottologia», a un «Inconscio agricolo e climatico» e una «invenzione verbale» nella quale si concentra la «fisionomia» di luoghi e di corpi (i capelli, le bocche, i petti e i grembi dei ragazzi che vi abitano, e che quasi si confondono con i luoghi stessi: ad essere «adorati», sono tanto i ragazzi quanto i toponimi):

[…] il paese è un luogo abitato: lì la fisionomia, faccia di un prisma immenso, ramificazione che si perde nelle tenebre dei matrimoni fra parenti, del clima, della produzione del suolo, e si rovescia all’esterno in quelle dimensioni dell’amore che sono i capelli, le bocche, i petti, i grembi (il corpo come statua di materia preziosa, oggetto di sé, fiore), la fisionomia rientra nel luogo, nel più fitto e massiccio dell’intraducibilità, che solo il nome ha il potere di estrarre seccamente alla luce.16

E ancora:

Si guardi il colore delle zolle attorno a Malalbergo e il colore, nella memoria, di quel tratto della guancia che sta tra le mascelle e le narici di un emiliano: la corrispondenza è perfetta.17Beginning of page[p. 25]

Il corpo amato è dunque un corpo infinito, che si dilata fino a comprendere il paesaggio e in cui il paesaggio puntualmente si riflette:

[…] non era possibile, non era umano sapere dove la ragazzetta sacilese avesse termine e cominciassero in lei i muri e l’aria del borgo.18

E in Proust:

il me semblait que la beauté des arbres, c’était encore la sienne, et que l’âme de ces horizons, du village de Roussainville […] son baiser me la livrerait.19

il me semblait que j’aurais, sur les deux joues de la jeune fille, embrassé toute la plage de Balbec.20

son sommeil, au bord duquel je rêvais avec une fraîche volupté dont je ne me fusse jamais lassé et que j’eusse pu goûter indéfiniment, c’était pour moi tout un paysage.21

Nel brano che ho citato prima su Fuessis, compariva, con iniziale maiuscola, il termine Inconscio, che è impiegato anche, come aggettivo, in minuscolo ma con virgolette enfatiche, in un passo di Atti impuri, dove il ragazzo amato (Nisiuti, o Tonuti, o T. puntato, a seconda dello “strato” del romanzo) cammina con i libri stretti in mano, straziando di tenerezza il narratore con la sua immagine:

[una] immagine anonima, piena di una freschezza e di un ardore di cui Nisiuti era «inconscio»; questo aggettivo mi toglieva il respiro.

«La tua bellezza è cosi infinita che non solo voce o discorso umano, ma nemmeno il guardarti — in quelle tue forme lontane di giovinetto — riesce in qualche modo ad esprimerti», leggo ancora nei miei scartafacci di quei giorni.22

In queste poche righe sono interessanti diverse cose: il tic del ricorso al diario, tipico di Pasolini nel suo periodo proustiano; l’appello di impronta quasi lirica a un «tu»; la quasi dissolvenza del ragazzo amato non solo nel suo ambiente ma anche nel suo «mistero»: Nisiuti è una «immagine anonima», che resta indecifrabile anche se il narratore si Beginning of page[p. 26] sforza di scrutarlo, come il personaggio che dice «io» nella Recherche con Albertine addormentata. C’è forse un riferimento a Freud (in altri casi è esplicito), ma l’inconsapevolezza di Nisiuti è soprattutto un catalizzatore erotico, come nel racconto del 1947 «O, La trappola»:

Ma era troppo inconscio, veramente. Talvolta la sua ingenuità diveniva addirittura sfacciataggine. Che diritto aveva di ignorarsi a quel modo?23

Qui «inconscio a sé stesso» è il protagonista, il ragazzo Mario S. che con la sua particolare pronuncia della lettera O ‘intrappola’ il narratore. Prepotente il ricordo di Andrée, la ragazza della «petite bande» di Balbec:

Quand Andrée pinçait sèchement une note grave, elle ne pouvait faire que la corde périgourdine de son instrument vocal ne rendît un son chantant, fort en harmonie d’ailleurs avec la pureté méridionale de ses traits.24

Siamo di fronte al tentativo di catalogare l’inafferrabile, l’incanto di una voce, e di conciliare il momentaneo con l’invariabile, quasi per placare un bisogno d’infinito. La rete a cui si appoggia questo tentativo è culturale: attinge a strumenti della linguistica (dittonghi, vocali circonflesse) e assume i tratti di una antropologia innamorata. Le distinzioni fonetiche con cui il giovane Pasolini traccia un idiosincratico catalogo di parlate e aree linguistico-geografiche sono sottili fino allo spasmo; «se i ragazzi non hanno una storia», ha scritto Walter Siti, «certo hanno un atlante (e quella degli atlanti era una delle manie del giovane Pasolini)». E ancora: «Se si dovesse individuare l’occasione di gioia più intensa nella vita del Pasolini di quegli anni (e forse di sempre), bisognerebbe indicare il momento in cui esce in esplorazione, all’avventura: il sesso non è che un pretesto, per “farsi” i paesi, le parlate, le usanze. Ed è in quel giro d’anni che progetta un atlante linguistico del Friuli».25

Così Proust: Beginning of page[p. 27]

Il me semblait que j’aurais, sur les deux joues de la jeune fille, embrassé toute la plage de Balbec.26

E così Pasolini:

Forse quando i giovani di Valvasone e di Malafiesta avessero dittongato le vocali circonflesse, tolto l’s ai plurali, pronunciato le sibilanti con th, sarebbero divenuti biondi, e avrebbero baciato in modo diverso?27

E ancora:

A Valvasone (cinque chilometri sopra Casarsa, lungo il Tagliamento) e a Malafiesta (circa quindici chilometri a sud di Casarsa, sempre lungo il Tagliamento) si parlava un friulano quasi identico: ebbene, giunto una Domenica, per la prima volta, a Malafiesta, egli stette assai spesso per salutare dei giovani e dei ragazzi credendoli suoi amici di Valvasone. […] la parlata era quasi identica, caratterizzata dal suono th, fenomeno che aveva notato nei dialetti in matura fase di venetizzazione (il substrato ladino era appunto riconoscibile per quel suono th trasformato in z sordo, ad esempio a Montebelluna), e quasi identici erano i visi, i corpi, il tono della voce, l’allegria, l’estro.28

Da Casarsa a San Floreano, due chilometri scarsi di distanza, si potrebbero fissare a voce almeno quattro sfumature diverse nel pronunciare una frase o una domanda: sfumature bloccate nella mia memoria, intraducibili, ma essenziali per poter seguire quel filo, quel genio locale forse non più linguistico, ma fisico e amoroso — che nella mia immaginazione prende la figura quasi di un prezioso ruscello inalveato nelle solitudini rocciose e dorate dei petti, delle gole o dei capelli di coloro che abitano lungo la strada da Casarsa a San Floreano.29

Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Siamo comunque nell’orbita di una costellazione «nomi-corpi-linguistica-desiderio-antropologia», ed è proprio su questa costellazione che si regge il proustismo del giovane Pasolini, la cui matrice non è solo un’attrazione superficiale per lo stile (con la sua complessità sintattica, la proliferazione metaforica,Beginning of page[p. 28] l’andamento autoanalitico della narrazione), ma ha alla base una percezione del desiderio erotico non dissimile, che si traduce nell’ansia o nella gioia inebriante di possedere un paese in un corpo.

La «petite bande» della spiaggia di Balbec è il modello soggiacente alle «squadre» della gioventù friulana — e un modello niente affatto inconsapevole, se Gilberto (nome proustiano, fra l’altro) grida a Benito, in Amado mio, «povera Albertine!»30.

Come scrive Siti, «Se il desiderio è desiderio d’infinito invece che di un corpo individuale, la massima intensità verrà misurata nel caso di incontri casuali, con corpi sconosciuti che concentrano in sé tutto il mistero, e più ancora se il corpo scompare prima che abbiamo potuto raggiungerlo»31. In una lettera di Pasolini a Silvana Mauri, nel febbraio del ’50, si legge:

tanto che è di ieri […] una incontenibile disperazione per un ragazzo seduto su un muretto e lasciato indietro per sempre e per ogni luogo dal tram in corsa.32

E in Proust:

cependant notre voiture s’éloignait, la belle fille était déjà derrière nous et, comme elle ne possédait de moi aucune des notions qui constituent une personne, ses yeux, qui m’avaient à peine vu, m’avaient déjà oublié. Etait-ce parce-que je ne l’avais qu’entr’aperçue que je l’avais trouvée si belle?33

I ragazzi sono chiusi in un mistero che li travalica, e che resta sigillato nonostante ogni sforzo del narratore di penetrarvi. Della «petite bande» di Balbec, le «squadre» della gioventù friulana condividono anche la quasi indistinzione dei singoli ragazzi — l’eros è anche collettivo, e il narratore si sente escluso da un gruppo rispetto al quale si sente straniero:

In ogni luogo c’era una gioventù diversa. […] E ogni paese, con l’amicizia della sua gioventù, […] aveva un suo odore speciale, che per qualche tempo dava senso e trepidazione all’intera esistenza. In Beginning of page[p. 29] questa gioia immediata, che egli cercava di sagra in sagra, di gioventù in gioventù, persisteva però sempre un fondo di angoscia, una tetra sensazione di non poter giungere mai nel centro di quella vita che così accorante e invidiabile, si svolgeva nel cuore di tutti quei paesi.34

L’erotismo è dunque surdeterminato da un’ansia mistica — si riconosce nelle pagine giovanili di Pasolini una rischiosa indistinzione tra l’io e l’Altro che è fra le nervature della Recherche. Nei giovanili «Quaderni rossi» si legge:

Passavo delle ore di fronte a una foglia o a un tronco per capirlo, cioè per valicare il limite o la sutura dove io terminavo e cominciava l’altro: la foglia, il tronco. Non pensavo direttamente a Dio, ma all’Altro, cosa molto più importante per me.35

Un altro tema proustiano è quello dei tesori della fisiognomica (basta pensare ai Guermantes). In Atti impuri si parla dell’«accanirsi a riconoscere nei figli (supponiamo: un ragazzo biondo) il riso dei padri (un ragazzo biondo di vent’anni fa, che io non avrei potuto mai carezzare con lo sguardo)».36 In un racconto ancora dei Parlanti, si rileva in un ragazzo un gesto particolare e un particolare difetto di pronuncia, derivati chiaramente dalla madre.

nel parlare, si copriva la bocca con la mano gonfia […], certo per tener nascosti almeno in parte i suoi errori di alloglotta, certi mi dolcemente veneti al posto del friulano jo, certi dolci th che, sostituendo l’s sonora, davano alle parole non so che intonazione fanciullesca. Del resto quante cose di Stefano si spiegavano in sua madre!37

E qui, ancora, viene in mente Proust:

leur double beauté offrait le plaisir abstrait de penser que la cause de cette beauté était en dehors d’eux; on eût dit que les principaux attributs de leur mère s’étaient incarnés en deux corps différents.38

Questa attenzione analitica si rivolge a volte anche a sé stesso: Beginning of page[p. 30]

Forse la terribile condanna di fragilità, di fantasia, che mi veniva da mia madre si faceva meno cruda nelle resistenti superfici esterne della somiglianza con mio padre: in una faccia dello specchio la figura di uno spirito così tenero da essere disumano, nell’altra un carattere fin troppo umano: riflessi l’uno nell’altro, lontananza materna dentro paterna prossimità.39

Il vivere sempre alla presenza di sé stesso, sulla punta della spada, e l’incantarsi davanti alla vita, bloccata in episodi chiusi e stupendamente nostalgici, del suo paese, era forse dovuto al suo essere in parte straniero. Il nobile sangue ravennate di suo padre (nella sua immaginazione: un vecchio palazzo nel cuore di Ravenna, consunto e sbiadito come in una vecchia stampa […]) era venuto a confluire con il sangue casarsese dei Colussi (a sua volta, nell’immaginazione: un vecchio borgo del paese, grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana).40

Non è detto che non ci sia un lato oscuro in questa trasmissione ereditaria da madri e padri a figli:

I fanciulli sono visioni atroci di morti;
dov’è la loro innocenza?
dove sono le loro seduzioni?
Hanno gli occhi pieni di cenere.41

Siamo nel ’49, venticinque anni prima, eppure i toni sembrano già quelli della Abiura dalla Trilogia della vita; e siamo, si noti, nel giugno ’49, cioè prima e non dopo l’accusa pubblica e la gogna: l’esaurimento e la sazietà sono semmai causa dello scandalo e non loro conseguenza. A prima ancora (’46–’47), risale un testo come «No, i dis di no»:

I bambini non avevano scoreggiato? Sono finiti negli abiti e nella puzza di loro padre […] Caramelle, aringhe, carta gialla, biscotti, ulive, mentine, varechina […] Odore di bambini morti nel loro corpo di uomo di nonno di scoreggia e peccato. Vieni giù, Angelo, uccidici tutti.42

Questa stessa costellazione («nomi-corpi-linguistica-desiderio-antropologia») si riconosce anche in molte pagine romane pre-Ragazzi di vita,Beginning of page[p. 31] del periodo in cui Pasolini recupera i raccontini dei Parlanti per pubblicarli su Botteghe Oscure, o di poco precedenti.

dove finisce Trastevere e dove comincia il ragazzo?43

è trasteverino fino all’infiammazione. Brutalmente, sfregato dall’interno dallo stesso calore puzzolente che sfrega le banchine, i muraglioni o i piloni di Ponte Sisto.44

Moltiplica il tuo mistero per ogni strada di Trastevere, per ogni esclamazione serale… per ogni goccia di una vita vissuta da centomila ragazzi romani e capirai quanto ti amo.45

Davanti al caffè del lungotevere, di sera tu sei i tuoi compagni e i tuoi compagni sono te: non c’è confine alla bellezza.46

I due brani di «Squarci di notti romane» sono in corsivo, e il racconto è interessante anche dal punto di vista strutturale: la prima parte, quella da cui provengono i passi che ho citato, è alla seconda persona singolare (sono brevi paragrafetti in corsivo separati da uno spazio bianco, nei quali il narratore si rivolge a un «tu» che è il ragazzo amato, ma ne compendia «centomila»); la seconda parte abbandona il corsivo e passa alla terza persona; il narratore è visto da di fuori e chiamato «Je», o il «Je»; una volta, addirittura «Proust» (Mario Lavagetto, fra l’altro, suggeriva che la presenza della sillaba «Je», all’interno di «Jean», fosse la ragione della scelta del nome del protagonista del Jean Santeuil, primo incunabolo della Recherche47):

Al Porto Proust era stato condotto pochi giorni prima da Gabbriele.48

Nello stesso racconto non a caso, credo, un ragazzo sempre chiamato nel racconto «Franco» si trova ribattezzato due volte, senza alcuna giustificazione apparente, «François»: declinato al femminile, un altro nome scopertamente proustiano, come Gilberto e Albertine — quello della governante del narratore, ricordata da Pasolini in L’odore dell’India,Beginning of page[p. 32] dove «la vecchia serva Francesca» è portatrice di una «bontà vera», quando Pasolini descrive madre Teresa di Calcutta.49

Ci sarebbe molto da dire, fra l’altro, sulla conservazione iniziale dell’ipotesi Proust, prima di essere sostituita dall’ipotesi Dante, nei primi anni romani. Da un piano di lavoro dell’ottobre 1952, conservato al Gabinetto Vieusseux, risulta che Pasolini avrebbe voluto ripubblicare il racconto «Terracina» (fra le pagine espunte dall’Ur-Ragazzi di vita) all’interno di una raccolta dal titolo Le notti calde, che si sarebbe aperta con una dedica «all’ombra di Proust e alla persona di C. E. Gadda» (c. 18), e avrebbe compreso, fra l’altro, i due racconti derivati da Operetta marina, a sua volta esito del Romanzo del mare: i racconti sono «La Recherche Sacilese» e «Primavera sul Po», e in uno stesso libro, Le notti calde appunto, si sarebbero trovati a convivere il Riccetto (chiamato ancora nell’Ur-Ragazzi di vita Luciano) e la ragazzina Silvia, che è una specie di mondana, fragile e capricciosa Gilberte cremonese. Un’altra “strana coppia”, quindi.50

Quando Pasolini arriva a Roma, il suo modo di osservare i ragazzi non è all’inizio molto diverso da quello a cui era abituato in Friuli, e il proustismo profondo ha ancora modo di agire, anche se presto lo “scandalo” delle borgate lo indirizza verso forme di narrazione verista.

In «Squarci di notti romane» il riferimento a Proust è esplicito, ma resta nel racconto abbastanza misterioso. Ci sono casi, invece, in cui la Recherche o il suo autore sono chiamati in causa in modo più diretto. In «Operetta marina», del ’47–’50, che dalla giuria del Premio Taranto aveva ricevuto una menzione come «finissimo racconto proustiano» (in giuria c’era anche Ungaretti) confluisce un racconto splendido, inedito, dal titolo «La recherche sacilese» (Sacile è la cittadina friulana dove i Pasolini abitarono, con intervalli, tra il ’29 e il ’32), nato nell’orbita di un più ampio romanzo, o meglio accumulo di materiali, a cui Pasolini aveva lavorato tra il ’47 e il ’50. Il titolo avrebbe dovuto essere Il romanzo del mare. E a questo Romanzo del mare Pasolini allude forse proprio nel passo già citato dei Parlanti, dove a proposito della gita a Pordenone e dell’acquisto di una cartella con il padre è detto: «si trattò Beginning of page[p. 33] di un avvenimento memorabile, da essere approfondito in tutto un capitolo a parte del romanzaccione della sua infanzia sacilese»51 Ancora l’episodio della gita col padre a Pordenone riaffiora nel racconto «Le soglie di Pordenone», dove il narratore (questa volta in prima persona) rievoca il se stesso bambino:

Un simile fanciullo ero io a nove anni, quando abitavo a Sacile. Solo ora lo so, essendo divenuto quasi la cavia dei miei esperimenti, o per lo meno l’oggetto di una introspezione così continua e inesauribile da essere divenuta quasi una seconda natura; Proust la chiama la ricerca del tempo perduto.52

Altrove, nel racconto «Da Udine a Casarsa», del 1947, il narratore fa riferimento a «periodi ben sistemati, quasi privi di temps perdu, della sua esistenza».53 Di recherche si parla anche in un racconto probabilmente degli stessi anni, anche se pubblicato solo nel ’57. Pasolini lo aveva scritto su richiesta della Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, che aveva progettato un volume antologico sul viaggio in treno e aveva ottenuto il contributo di numerosi scrittori italiani. Non siamo riusciti, con Walter Siti, a reperirne il dattiloscritto, e lo abbiamo pubblicato come è apparso nella raccolta Un paese di temporali e di primule. Probabilmente Pasolini aveva recuperato in quell’occasione pagine di vent’anni prima, o aveva incaricato Naldini di farlo, scegliendo qualcosa sul tema del treno tra le carte che aveva lasciato a Casarsa. L’attacco del racconto suona così:

Non so veramente spiegare il mio amore per il treno, che è uno di quegli amori che fanno da connettivo all’oggetto della recherche

Ricordo il mio primo treno: sono in uno scompartimento di legno con mia madre: mio fratello, no, non c’era. Avevo quindi meno di tre anni. Ma doveva essere la seconda volta che andavo a Casarsa, perché avevo già dei ricordi.54

In questi esempi il nome di Proust o il titolo della sua opera sono esplicitati, e «ricerca» appare da intendere (è il secondo significato del Beginning of page[p. 34] termine nel giovane Pasolini) come «indagine in senso quasi scientifico, condotta mediante introspezione, sulla propria diversità psichica», sottintendendo la conoscenza di Freud o di una vulgata freudiana.55 Proust e Freud, in questa fase, vanno quasi a braccetto, e lo dimostra, oltre al resto, l’uso della parola «trauma». Si legge in «Operetta marina», associando Proust e Freud:

ma chi avrebbe mai potuto prevedere che la risoluzione di quel trauma lungo quanto il primo periodo della mia vita sarebbe stata in chiave letteraria, addirittura in un cursus proustianus?56

La parola «trauma», ancora associata alla Recherche, torna nel primo abbozzo di Amado mio, del ’47, «[Le “maglie”]». La scena è quella in cui si racconta dell’innamoramento del protagonista Gilberto per la figura di un ragazzo indiano a torso nudo comparso per un attimo sullo schermo durante la proiezione di un film western, sullo sfondo delle Montagne Rocciose:

Forse la cosa sarebbe passata inosservata negli inventari della «recherche», piccolo trauma innocuo, pane quotidiano del sensibile giovane; fu invece l’apertura, una specie di reagente che fece precipitare la sua saggezza; i martiri, si sa, prima d’essere impalati o crocefissi, vengono spogliati nudi.57

Segue un passo curioso, dove l’invaghimento per il giovane Pellerossa è analizzato mobilitando in meno di mezza pagina (con la giustificazione, da parte del narratore, che il protagonista Gilbert era un homme de lettres in erba) il trovatore provenzale Jaufré Rudel, col suo amore di «terra lontana»; il poeta spagnolo Antonio Machado; il suo compatriota Juan Ramón Jiménez; il poeta americano Karl Shapiro, e appunto Freud:

Non che se ne fosse innamorato — s’intende, benché, come «amore di terra lontana», il giovane non fosse privo di una bellezza visibile, sia in panoramica che in primo piano — però l’esotico è un potente corrosivo; a cui si può aggiungere il sale di quella morte predisposta che «interrompe il volo», e il lettore è pregato di ricordare (benché non sia tenuto a saperlo) il valore magico del volo che come immagine onirica rappresenta l’erezione (Freud), e nel mito e nell’arte ha Beginning of page[p. 35] giocato sempre un ruolo inebriante, tanto che forse inconsciamente uno spagnolo, Machado, lo vede quasi come il simbolo della poesia, o, come direbbe il suo compatriota Jiménez, dell’etica estetica: «El vuelo, el vuelo, el vuelo!»58

Un terzo, più sfuggente significato che Pasolini dà alla parola «recherche», si delinea nella poesia «Progetto di opere future», in Poesia in forma di rosa:

Impazzisco! È tutta la vita
che tento di esprimere questo sgomento da Recherche —
che io sentivo già bambino, sul Tagliamento,
o sul Po, più vicino alle matrici —
alla cerchia dei miei isoglotti —
sordi, per abitudine a ogni privata, infantile, incerta
pre-espressività, dove il cuore sia nudo.59

Qui, lo «sgomento da Recherche» è sgomento per l’infinita desiderabilità e insieme per la disperata inafferrabilità di ciò che è. Questo terzo significato aiuta a illuminare gli altri due. Le cose sono disperatamente inafferrabili «nella loro densità materiale ma anche nella radianza che le rende assolute», e ha ragione, ancora una volta, Walter Siti: «torna a onore dell’intelligenza critica di Pasolini l’avere intuito che questo è un tema di Proust».60

Di altri riferimenti all’opera proustiana (in particolare nel racconto Un mio sogno, del ’46 e nell’«episodio del vespasiano» della Meglio gioventù-romanzo, confluito in una forma più misteriosa in Romàns), ho trattato altrove.61Ricordo solo che in «Un mio sogno» è interessante oltre al resto per il motivo del narratore si sforza di mettere a fuoco la sensazione di provocata dal sogno, ma non ne trova la chiave. Siamo di fronte a uno sforzo ermeneutico che accomuna toponimi e sogni. Chi scrive cerca di indagare il significato delle associazioni presenti in nomi e sogni ma a volte, a differenza che nell’episodio del vespasiano della Meglio gioventù-romanzo, dove è ricalcato al limite del calco il meccanismo della memoria involontaria nella Recherche. Beginning of page[p. 36]

Nel primo raccontino dei Parlanti in prima persona, chi dice io (e coincide con la persone empirica dell’autore, citando anche alla lettera alcuni versi della sua «raccoltina poetica in casarsese») riconosce che «il senso del luogo» è «stupendamente tradotto nel mistero del nome»; e che la percezione di quel mistero tradotto in nome e poi in versi gli era parsa inizialmente penetrabile, apribile «come un ventaglio» (anche l’immagine è proustiana), consentendo di «rasentare» nella memoria «i luoghi» e «le ore» in cui era precipitato (sono ancora parole di Pasolini) «tutto il suo tempo perduto».

Ma se tento di aprire come un ventaglio questa percezione di umidità, se entro in esse come in un labirinto tenacemente profumato di salici bagnati, di fango, di carbone e di campi, ecco che un po’ alla volta la macchia informe si dirada come una nebbia, e io entro nel nudo dell’umidità, fino a rasentare quella Verità che ci si nasconde da tanti anni e che mi svelerebbe il senso di Casarsa. Ma già si delineano nella memoria i luoghi e le ore nei quali è precipitato tutto il mio tempo perduto… […] Spesse volte ho ripetuto questa escursione dentro la macchia d’umido che occupa la mia memoria […].62

Arrivato, scavando in sé stesso (facendosi «cavia dei suoi esperimenti», come diceva) all’immagine della pozzanghera, l’io narrante non può che registrare una sconfitta — l’enigma non riesce a essere decifrato, resta un groppo in gola. Proustiano è quel moltiplicarsi metonimico degli enigmi, un’epifania che non si rivela, ma si traduce sensorialmente in un’altra, e ad ogni passaggio si carica di nuove implicazioni. Oltre al prelievo del sintagma «tempo perduto», è da notare, in questo passo, l’arcaico «spesse volte» dell’ultimo periodo, richiamo allusivo ma puntualissimo al «Longtemps» con cui si apre la Recherche.

Notes

  1. Walter Siti, «Pasolini e Proust», in Siti, Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini (Milano: Rizzoli, 2022), pp. 266–89 (p. 266). Una «fonte pasoliniana inattesa», dunque, è in effetti è così. Gli studi sul proustismo italiano, anche i più recenti (quello, per esempio, pur accuratissimo, di Anna Dolfi, nel volume da lei curato Il ‘tono’ Proust. Dagli avantesti alla ricezione (Firenze: Firenze University Press, 2022)) non menzionano nemmeno il nome di Pasolini. Cfr. Silvia De Laude, «Pasolini e Proust. Su un sogno del 1946 e l’episodio del vespasiano della Meglio gioventù-romanzo», in Pier Paolo Pasolini. Figure, luoghi, dialoghi, a cura di Elisa Donzelli (Venezia: Marsilio, 2024), pp. 21–29.
  2. Pier Paolo Pasolini, Romanzi e racconti, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, 2 voll. (Milano: Mondadori, 1998). Siti in realtà avrebbe potuto coinvolgere nel suo discorso anche le aurorali Poesie a Casarsa, e spingersi nell’indagine del proustismo di Pasolini anche oltre la fase giovanile: rimando per motivi di spazio ad altra sede questo sviluppo del mio discorso, oltre a un elenco dei luoghi in cui Pasolini cita o allude, fin da Poesie a Casarsa, al titolo della Recherche.
  3. Walter Siti, «Descrivere, narrare, esporsi», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. xcv–cxliii (p. cxli), ora anche in Siti, Quindici riprese, pp. 61–201 (pp. 200–01).
  4. Ibid.
  5. Pier Paolo Pasolini, Poeta delle Ceneri, in Pasolini, Tutte le poesie, a cura e con uno scritto di Walter Siti, saggio introduttivo di Ferdinando Bandini, 2 voll. (Milano: Mondadori, 2003), ii, pp. 1261–88 (p. 1270)
  6. Pier Paolo Pasolini, Lettere 1940–1954, a cura di Nico Naldini (Torino: Einaudi, 1986), p. 491.
  7. Pier Paolo Pasolini, Le lettere, nuova edizione a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini (Milano: Garzanti, 2021), pp. 530–31.
  8. Pier Paolo Pasolini, «Gli adorati toponimi», in Pasolini, Romanzi e racconti, ii, pp. 163–67 (p. 163).
  9. Ibid., p. 164.
  10. Marcel Proust, À la recherche du temps perdu, a cura di Pierre Clarac e André Ferré, 3 voll. (Parigi: Gallimard, 1954), i, p. 389.
  11. Ibid., p. 386.
  12. Pasolini, «Gli adorati toponimi», p. 164.
  13. Pier Paolo Pasolini, «Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli», in Pasolini, Romanzi e racconti, ii, pp. 183–96 (pp. 188–89).
  14. Ibid.
  15. Pasolini, «Gli adorati toponimi», p. 164.
  16. Ibid., pp. 163–64.
  17. Pier Paolo Pasolini, «Foglie Fuejs», in Romanzi e racconti, i, pp. 1294–97 (p. 1295).
  18. Pasolini, «Operetta marina», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 367–420 (p. 394).
  19. Proust, À la recherche du temps perdu, i, p. 156.
  20. Ibid, ii, p. 363.
  21. Ibid, ii, p. 7.
  22. Pier Paolo Pasolini, Atti impuri, in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 5–130 (p. 98).
  23. Pier Paolo Pasolini, «O, la trappola», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 1313–16 (p. 1314).
  24. Proust, À la recherche du temps perdu, i, p. 910.
  25. Walter Siti, «Oltre il nostro accanito difenderla», in Siti, Quindici riprese, pp. 225–46 (p. 227)
  26. Proust, À la recherche du temps perdu, ii, p. 363.
  27. Pasolini, «Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli», pp. 183–96 (p. 186).
  28. Ibid.
  29. Pier Paolo Pasolini, «Paesaggio del romanzo d’ambiente», in Pasolini, Romanzi e racconti, ii, pp. 181–83 (p. 181).
  30. Pier Paolo Pasolini, Amado mio, in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 197–268 (p. 217).
  31. Siti, «Pasolini e Proust», p. 274.
  32. Pasolini, Le lettere, p. 631.
  33. Proust, À la recherche du temps perdu, i, p. 712.
  34. Pasolini, «Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli», pp. 183–96 (p. 191).
  35. Pier Paolo Pasolini, «Dai “Quaderni rossi”», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 131–57 (p. 144).
  36. Pasolini, Atti impuri, pp. 5–130 (p. 40).
  37. Pier Paolo Pasolini, «Stefano», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 167–74 (p. 170).
  38. Proust, À la recherche du temps perdu, ii, p. 686.
  39. Pasolini, «Operetta marina», p. 373.
  40. Pasolini, «Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli», pp. 183–96 (pp. 183–84).
  41. Pier Paolo Pasolini, «Haikai dei rimorsi», in Pasolini, Tutte le poesie, i, pp. 556–57 (p. 557).
  42. Pier Paolo Pasolini, «No, i dis di no», in Pasolini, Tutte le poesie, i, pp. 375–77 (p. 377).
  43. Pier Paolo Pasolini, «Ragazzo e Trastevere», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 1383–86 (p. 1385).
  44. Pier Paolo Pasolini, «Notte sull’ES», in Pasolini, Romanzi e racconti, ii, pp. 395–411 (p. 396).
  45. Pier Paolo Pasolini, «Squarci di notti romane», in Pasolini, Romanzi e racconti, ii, pp. 329–61 (p. 347).
  46. Ibid.
  47. Mario Lavagetto, Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust (Torino: Einaudi, 2011).
  48. Pasolini, «Squarci di notti romane», p. 358.
  49. Ibid., p. 359 e Pier Paolo Pasolini, L’odore dell’India, in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 1197–1286 (p. 1228).
  50. Cfr. la notizia relativa a «I parlanti» in Pasolini, Romanzi e Racconti, ii, p. 1945.
  51. Pasolini, «Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli», p. 189.
  52. Pier Paolo Pasolini, «Le soglie di Pordenone», in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini (Parma: Guanda, 1993), pp. 228–31 (p. 228).
  53. Pier Paolo Pasolini, «Da Udine a Casarsa», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 1330–33 (p. 1330).
  54. Pier Paolo Pasolini, «Il treno di Casarsa», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 1437–43 (p. 1437).
  55. Siti, «Pasolini e Proust», p. 271.
  56. Pasolini, «Operetta marina», p. 392. Il primo corsivo è mio.
  57. Pier Paolo Pasolini, «[Le “maglie”]», in Pasolini, Romanzi e racconti, i, pp. 272–92 (pp. 272–73).
  58. Ibid., p. 273.
  59. Pier Paolo Pasolini, «Progetto di opere future», in Pasolini, Tutte le poesie, i, pp. 1245–56 (pp. 1245–46).
  60. Siti, «Pasolini e Proust», p. 272.
  61. Cfr. De Laude, «Pasolini e Proust. Su un sogno del 1946 e “l’episodio del vespasiano” della Meglio gioventù-romanzo», pp. 21–29.
  62. Pasolini, «Gli adorati toponimi», pp. 165–67.

Bibliographie

  1. De Laude, Silvia, « Pasolini e Proust. Su un sogno del 1946 e l’episodio del vespasiano della Meglio gioventù-romanzo », dans Pier Paolo Pasolini. Figure, luoghi, dialoghi, éd. Elisa Donzelli (Venise : Marsilio, 2024), p. 21–29
  2. Dolfi, Anna, éd., Il ‘tono’ Proust. Dagli avantesti alla ricezione (Firenze : Firenze University Press, 2022) <https://doi.org/10.36253/978-88-5518-643-8>
  3. Lavagetto, Mario, Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust (Turin : Einaudi, 2011)
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  7. « Dai “Quaderni rossi” », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 131–57
  8. « Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli », in Romanzi e racconti, ii, p. 183–96
  9. « Foglie Fuejs », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 1294–97 (p. 1295)
  10. « Gli adorati toponimi », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 163–67
  11. « Haikai dei rimorsi », dans Pasolini, Tutte le poesie, i, p. 556–57
  12. « [Le “maglie”] », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 272–92
  13. Lettere 1940–1954, éd. Nico Naldini (Turin : Einaudi, 1986)
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  15. « No, i dis di no », dans Pasolini, Tutte le poesie, i, p. 375–77
  16. « Notte sull’ES », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 395–411
  17. « O, la trappola », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 1313–16
  18. L’odore dell’India, dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 1197–1286
  19. « Operetta marina », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 367–420
  20. « Paesaggio del romanzo d’ambiente », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 181–83
  21. Poeta delle Ceneri, dans Pasolini, Tutte le poesie, ii, p. 1261–88
  22. « Progetto di opere future », dans Pasolini, Tutte le poesie, i, p. 1245–56
  23. « Ragazzo e Trastevere », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 1383–86
  24. Romanzi e racconti, éd. Walter Siti et Silvia De Laude, 2 vol. (Milan : Mondadori, 1998)
  25. « Le soglie di Pordenone », dans Un paese di temporali e di primule, éd. Nico Naldini (Parme : Guanda, 1993), p. 228–231
  26. « Squarci di notti romane », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 329–61
  27. « Stefano », dans Pasolini, Romanzi e racconti, ii, p. 167–74
  28. « Il treno di Casarsa », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. 1437–43
  29. Tutte le poesie, éd. Walter Siti, 2 vol. (Milan : Mondadori, 2003)
  30. Proust, Marcel, À la recherche du temps perdu, éd. Pierre Clarac et André Ferré, 3 vol. (Paris : Gallimard, 1954)
  31. Siti, Walter, « Descrivere, narrare, esporsi », dans Pasolini, Romanzi e racconti, i, p. xcv–cxliii
  32. « Oltre il nostro accanito difenderla », dans Siti, Quindici riprese, p. 225–46
  33. « Pasolini e Proust », dans Siti, Quindici riprese, p. 266–89
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